Dopo i tanto enigmatici 25 anni, gli ultimissimi dei quali trascorsi tra continue polemiche, dilazioni e tira-e-molla di David Lynch a causa di disaccordi vari con la produzione, Twin Peaks ritorna in TV, non sulla rete che con esso era nata, ovvero ABC, ma su Showtime, riportando a un mondo che credevamo ormai dimenticato svariate generazioni, dai ragazzi degli anni ‘90 fino agli estimatori del Lynch puramente cinematografico.

Ora, che il recente ingigantirsi del fenomeno televisivo abbia visto la resurrezione di tanti (e talvolta illustri) cadaveri del cavo, è fuor di dubbio. Ma con Twin Peaks il discorso è, e deve essere, per necessità, diverso. Perché è stato il primo vero e proprio fenomeno televisivo, perché ha posto le basi per il concetto moderno di serie almeno cinque anni prima dell’ideazione dei mostri HBO dei tardi anni ’90, perché può vantare come proprio padre un vero autore.

Non ci troviamo di fronte a un vero e proprio fenomeno di mercato con lo sguardo fisso sull’audience (anche se non è opportuno dimenticare che parte dei dissidi riguardava l’aspetto economico), bensì a forse il cogliere di una possibilità per portare a termine un qualcosa di cui l’audience aveva decretato la morte per decapitazione dopo aver fatto di tutto per causarla. Lynch e Frost, dunque, hanno visto uno spiraglio per concludere a modo loro Twin Peaks, trovando anche una serie di compromessi per sopperire al vuoto di 25 anni e tutto ciò che esso ha comportato: da contrasti con i vecchi interpreti al drastico cambio di modo di fare televisione.

Qui di seguito, ovviamente, non si vuole andare a valutare l’intera stagione di Twin Peaks a partire dal primo episodio. Quanto scritto è solo una piccola introduzione a una rubrica che tenterà di fare il punto della narrazione e non solo della serie nelle settimane a venire, di pari passo con gli episodi.

Il punto della situazione

Dunque, cosa è cambiato in questi 25 anni?

Essenzialmente nella cittadina di Twin Peaks sembra sia cambiato poco, in fondo è sempre la solita piccola e un po’ retrograda comunità rurale dove si tira a campare un po’ come capita, e non potrebbe essere diversamente. Le più importanti novità, ragionando nei termini del lascito della serie originale, riguardano in primo luogo il destino di BOB (non più interpretato dall’inquietantissimo e iconico Frank Silva, venuto a mancare nel ’95) che ormai vive nel mondo fisico da Beyond life and death mentre l’originale Dale Cooper è rinchiuso da 25 anni nella Loggia Nera, che nel frattempo ha visto il Nano (non più interpretato dall’altra intramontabile icona Michael J. Anderson) evolversi – fisicamente – in un albero. Dall’altro lato la Signora Ceppo sembra aver colto qualcosa, avvertendo dunque il sergente Hawk che qualcosa che collega lui e Dale Cooper sembra dover vedere nuovamente la luce.

Ma Twin Peaks ormai non più solo Twin Peaks, è anche Buckhorn e New York City.

La serie

Dunque, mentre nella cittadina più amata del Montana succede quanto detto, nuove linee narrative promettono misteri e paure dal South Dakota e da New York. A Buckhorn una donna viene ritrovata decapitata e il principale sospettato è il preside di una scuola locale, nonché amante della vittima, la moglie del quale sembra però ricoprire un ruolo nell’incarcerazione di quest’ultimo, ma prima di poterci chiarircelo viene uccisa da BOB, che semina altre due vittime in queste prime puntate. Queste sembrano a loro volta parte di un complotto più grande che vede la Volontà delle Logge desiderare necessariamente il ritorno del killer di Laura Palmer alla dimensione a lui più consona. Per questo il Nano/BRACCIO (che probabilmente dovrebbe essere chiamato l’Albero d’ora in poi) fa sì che Cooper possa fuggire dalla Loggia Nera per riportare BOB al suo posto per non alterare l’equilibrio. Il suo ritorno avviene attraverso una gigantesca gabbia di vetro a New York sorvegliata da un paio di ragazzi che però vengono massacrati da una strana figura uscita da quella stessa teca poco prima (o poco dopo?). Tutto questo però non prima (o non dopo?) di aver parlato nella Loggia con MIKE, Leland e Laura, la quale, come prevedibile, si fa voce di una serie di dichiarazioni che sicuramente andranno a costituire il cuore di questa terza stagione.

Ora, dando per scontato che, trattandosi poi della prima puntata, un breve riassunto dei fatti si renderà sempre necessario, chi scrive non ha intenzione di limitarsi a una sintesi organizzata e razionalizzante dei fatti accaduti di episodio in episodio, né tantomeno di lanciarsi in interpretazioni profetiche con il solo scopo di ostentare comprensione, o, forse ancora peggio, di mettersi ad analizzare le puntate per temi trascendentali con l’arroganza che contraddistingue solo la pochezza di quanti credono che sia opportuno ridurre tutto a un leitmotiv del calibro del “doppio” o similari se non addirittura osare scomposizioni simbolico-tecniche.

L’analisi della puntate a seguire – e non particolarmente di questa, perché, trattandosi di un vero e proprio pilot, si rischierebbe di sconfinare – non sarà propriamente tale, bensì procederà per focalizzazione sui punti chiave della narrazione per tentare penetrare quell’universo che è stato la più imponente e palese allegoria lynchana per quasi trent’anni.

Con Return – I & II, vediamo Twin Peaks che ospita una verve che non è certo anti-moderna, ma allo stesso tempo, senza sacrificare nulla conserva, e con orgoglio, i propri tratti distintivi, narrativi ed estetici. Il grottesco non viene assolutamente sacrificato per lasciare spazio a quella seriosità (seriosità, e non serietà) che contraddistingue i prodotti televisivi di nuova generazione (Netflix in primis), allo stesso modo quel carattere “soap”, figlio dell’epoca della serie originale sembra trasformarsi, non annichilirsi. Il feticismo per il mistero come tale si sente ancora, e certo non potrà avere la stessa struttura circolare che aveva prima, ma rimane immobile come parte connaturale dello spirito della serie.

Dall’altro lato quello che Lynch sembra fare è giocare con il tempo, accavallando già analessi e prolessi nella prima puntata (scelta coraggiosissima), tra affastellamenti dimensionali e impliciti colpi di scena Lynch ha già fatto della temporalità uno dei fulcri di questa nuova stagione – quale modo migliore, d’altronde, per approcciarsi a un time-skip necessario di 25 anni? Laura Palmer, inoltre, nella sua attesissima ri-apparizione, svelando che c’è un qualcosa-oltre-la maschera, oltre-la vita-e-la-morte davvero, non solo nel titolo di quel famigerato e, fino a ora, ultimo episodio, ma anche nella natura stessa della serie e nella sua narrazione, promette di fatto una spiegazione al di là del tempo.

In conclusione, per quanto soddisfare ogni aspettativa con dei presupposti del genere fosse complicato, Lynch e Frost sono riusciti perfettamente a rispristinare il filo della narrazione intrecciandolo a nuove promesse senza sbagliare nulla. Certo il carattere fortemente introduttivo dell’episodio si fa sentire (come faceva notare lo stesso Michael J. Anderson), e la televisione non può certo reggere una regia come quella di Fuoco cammina con me, ma l’estetica a cui Lynch ci aveva abituati, assieme a una certa nostalgia per l’iconicità degli ambienti, la fa da padrone, facendo risultare il vecchio, vecchissimo Twin Peaks, a livello tecnico e visivo, anni luce davanti a ogni altra cosa apparsa in TV in questi ultimi vent’anni, per quanto complicate e mirabolanti esse potessero essere.

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