Siamo arrivati quasi alla fine, e lo sprint iniziato con la quattordicesima puntata non accenna a esaurirsi, confezionando così un altro episodio di qualità eccelsa che non può che creare enormi aspettative per il gran finale della prima domenica di settembre.
Il punto della situazione
Mentre il doppelgänger si reca in un altro posto sperduto e qui tenta di scoprire se uno dei luoghi indicati dalle coordinate può veramente condurlo dove crede, usando Richard come cavia, la controparte originale si risveglia da un breve coma procurato dalla scossa. Dougie lascia posto a un redivivo Dale Cooper con le idee ben chiare che si organizza subito per partire per Twin Peaks, dove peraltro di stanno dirigendo anche Gordon, Albert e Tammy dopo aver scoperto che Diane è in realtà un tulpa.
La serie
Tra gli episodi più belli di tutta la stagione, il presente è sicuramente però il più denso. Lynch e Frost s’avvicinano sì alla conclusione ma con questa puntata generano più dubbi di quanti non ne risolvano, con un colpo di scena da manuale pur a solo un paio d’ore dalla fine di questo revival. I minuti iniziali sono sempre per BOB-in-Cooper, che, numeri alla mano, scopre che le tre coordinate di cui è in possesso combaciano solo in parte, e decide così di testare per prima cosa le due che convergono. Estremamente scettico, fa sì che a svolgere l’ingrato compito sia Richard Horne, che, salito sulla roccia indicata, sparisce in una violenta scossa elettrica. Presi al di là del contesto sono pochi minuti, ma il fatto in sé chiarisce più questioni sovrappostesi sinora. Le due coordinate (sbagliate) probabilmente sono quelle che ha ricevuto/estorto da Ray e Jeffries, e sappiamo che il primo era agli ordini di MIKE, mentre nella scorsa puntata si ipotizzava che la teiera gigante fosse agli ordini di quest’ultimo; così ne abbiamo la conferma, perché è da circa mezzo secolo che l’uomo-con-un-braccio-solo sta cercando di catturare il rivale, e questa era un’altra trappola: la scossa che ha ucciso Richard probabilmente più che un fulmine era un sorta di botola metafisica per la Logga Nera. Horne, non essendo uno spirito, è rimasto polverizzato. Nel salutarlo, BOB lo chiama “figliolo”, a ulteriore riprova di quanto detto più volte, ormai.
Pur cambiando il Cooper, invece, non cambia la sostanza. Anche il risvegliato Dale deve dire addio a suo figlio, come a sua moglie (ambedue di copertura), dato che sta per imbarcarsi su un volo per Twin Peaks, dove si sta dirigendo anche il doppelgänger, così come Gordon. Inutile dire che si tratta di uno dei momenti più attesi di questa terza stagione, il vecchio Cooper è ritornato a suon “100%”, “caffè” e organizzazione compulsiva anche dei più piccoli particolari. Proprio quando non lo si aspettava più, ecco che Lynch si diverte a resuscitare televisivamente il suo storico protagonista e sbeffeggiare ulteriormente lo spettatore, a partire dal “finalmente” di MIKE, fino al palesare che non solo la lunga attesa non è stata per niente riempitiva, poiché i fratelli Mitchum, Bushnell e compagnia si rivelano pezzi essenziali nella sua repentina partenza per la cittadina, ma è stata un pilastro portante della serie nella sua interezza, tant’è che l’addio del fu Dougie Jones a Janey-E e Jim è struggente. Non solo per (l’ingrato) spettatore, ma anche per l’agente del Bureau, che incarica MIKE di costruire un altro tulpa affinché la famigliola possa vivere felice. Forse. Da ciò si evince che Cooper e MIKE stanno collaborando da anni condividendo il medesimo obiettivo, e che il primo era cosciente quando si trovava nei panni del tontolone di cui abbiamo riso per più di una dozzina di puntate. Nonostante tutto, però, la scena rimane grandiosa a dir poco: tutto nelle due sequenze che lo vedono rinato ricorda la vecchia serie, dalla musica fino alla regia che ritorna sorprendentemente quadrata; non trattandosi di un’operazione nostalgica quanto piuttosto di una profonda venatura di malinconia, il ritorno di Cooper, con quel “I am the FBI” non può che far sorridere al ricordo del personaggio che era negli anni ’90 e e dello sconvolgimento che avrebbe portato.
E mentre tra i momenti dei due MacLachlan trova spazio la fine dei coniugi Hutchens (una fine in pieno stile tarantiniano, così come pienamente tarantiniani sono Tim Roth e Jennifer Jason Leigh) in modo grottesco e folle, con una violentissima sparatoria in un vialetto condita dai commenti dei Mitchum e da un paio di federali che non hanno la minima idea di quello che fanno, ritorniamo su Audrey. Finalmente esce dall’appartamento, solo per dare vita a una sequenza di danza surreale (come nelle prime stagioni) e risvegliarsi in un altro luogo. Assieme alla sequenza che riguarda BOB, anche questa si rivela fondamentale per meglio comprendere la scena madre dell’episodio. Il sogno di Audrey allora le permette di andare al Roadhouse, ma ecco che si verifica la tanto evitata violazione del conflitto, e quindi il sogno si rompe. Non è possibile dire se si sia perso il collegamento con lo spazio che univa le due realtà, ma al contempo non si può negare che le dimensioni si stiano sovrapponendo ulteriormente.
Quindi, ogni cosa converge nella rivelazione enorme a proposito di Diane. Unica parte dell’episodio a non ritornare agli stilemi anni ’90, il semplice messaggio inviato da BOB (“: – ) ALL.”) innesca in Diane una sorta di crollo che la porta a ricordare quanto successo tra lei e il doppelgänger quella tanto misteriosa notte di cui s’era parlato nel settimo episodio. Ancora un piano-sequenza ci trasmette tutta la paura del momento, mentre nei momenti successivi la regia si fa semplice occhio meccanico e mezzo per una delle migliori interpretazioni televisive degli ultimi anni, con Diane che confessa lo stupro subito (come teorizzato sin da subito) in preda agli spasmi e poi cerca inutilmente di estrarre la pistola, battuta in velocità da Albert e Tammy. Morente, scompare e arriva al cospetto di MIKE nella Stanza Rossa. Com’è dunque palese a questo punto anche Diane è stata fabbricata, e infatti poco dopo svanisce sgonfiandosi e lasciando fuoriuscire un seme di garmonbozia.
Gli interrogativi che tutto ciò solleva però sono numerosi e complessi. In primo luogo non solo non si spiega perché Diane abbia cercato di sparare, ma anche perché sapesse di essere un manufatto. MIKE aveva creato Dougie e l’aveva lasciato vivere e fermentare per chissà quanti anni prima di usarlo, per poi distruggerlo una volta che questi aveva adempiuto allo scopo prefissato, mentre Diane sembra molto più avanti, parlando di consapevolezza. Provando a ragionare con ordine, l’ipotesi più plausibile è che MIKE abbia provato a costruire l’ennesima trappola e che il vecchio compagno, accortosene, l’abbia trasformata in una risorsa, stuprandola, e devastandola psicologicamente prima, e trascinandola nella Loggia Nera poi. Con quell’emoticon le ha ricordato di quella notte e del sorriso che ha esibito nel guardare la paura nei suoi occhi, godendone. BOB gode di un tale potere su Diane da poterla gestire come preferisce, probabilmente l’ha mandata a morire con quel messaggio perché non gli serviva più, e sganciandosi in questo modo anche dalla sorveglianza di Gordon. Ma come convergono dunque le varie storyline se Diane è un manufatto? Chi è la vera Diane, se quella che abbiamo conosciuto era un tulpa? Dobbiamo andare alla cieca. Oppure dalla cieca. Diane era la vecchia segretaria di Cooper, che comunicava con lei per cassette registrate, mai una nota scritta, un appunto, il che potrebbe far pensare che la vera Diane fosse non-vedente. E se uniamo questo al fatto che prima di sparire Diane-tulpa ripete “Sono alla stazione di Polizia”, questo ci conduce verso Naido, donna-pipistrello or ora confinata in una cella a Twin Peaks; senza contare poi che lo spelling delle due parole è molto simile se letto al contrario. Ma se Naido era la vecchia segretaria, la cui condizione è peggiorata nella Loggia Bianca, fino a trasformarle gli occhi in organi vestigiali, servita da tipo 0 per Diane, chi ha preso il suo posto? L’unico tassello che manca, Audrey. Lei e Diane sono state violentate da BOB-in-Cooper (due rapporti sinceri che il doppelgänger ha distrutto), entrambe hanno avuto un figlio (“two birds with one stone” diceva Briggs e “Richard and Linda, Richard and Linda” ripeteva il Gigante/Pompiere) dalla violenza (forse) e quando Diane muore ecco che Audrey si risveglia, destinata e prendere il posto vacante. Inoltre Audrey vuole esattamente andare dove Naido è già, da Billy. In sostanza, Diane era un corrispettivo di Audrey (sta a lei come Billy a Cooper) ed era stata creata a partire da Naido, della quale occupava il posto. Ora c’è stata una rotazione, basti controllare gli orari dei telefoni tra le scene nel Dipartimento di Polizia a Twin Peaks nello scorso episodio e quelle di Diane in questo.
In conclusione, Lynch non lesina ulteriori complicazioni mentre si avvicina il gran finale, e anzi, l’episodio è carico, teso e straordinariamente misterioso, chiarendo il fatto di essere ancora in grado di mostrare qualcosa di sconvolgente pur dopo quasi trent’anni, mentre noi (il pubblico) siamo esattamente come Jerry Horne, incapaci di vedere, tanto da ignorare di assistere alla morte del rispettivo nipote, e stolidi al punto di prendercela con lo strumento, che sia il cinema, la TV o un binocolo, mentre non comprendiamo che una parte di quello che vediamo. Come Jerry è strafatto e nega di esserlo perché adesso il commercio è legale, così lo spettatore che Lynch paventa s’è assuefatto alla pochezza televisiva ma dispensa giustificazioni, e si guarda i piedi correndo con il solo risultato di capitombolare a intervalli regolari. A una sola settimana dall’attesissima conclusione, le aspettative sono mastodontiche.