Un Moby Dick in spazi urbani: la balena bianca del Teatro dei Venti

All’inizio il campo visivo è vuoto. Il pubblico è molto, suddiviso tra una platea seduta e una in piedi, retrostante. Sono le otto di sera, all’aperto, la luce del tramonto trascolora nel blu della sera. Siamo nello spazio dell’Off di Modena, dove il 4 maggio ha debuttato la nuova produzione del Teatro dei Venti, Moby Dick, all’interno di Trasparenze Festival, promosso dalla stessa compagnia. Regista e ideatore del Teatro dei Venti che ha fondato 15 anni fa, Stefano Tè ha sviluppato la sua attività teatrale in ambito socio-culturale (dal 2017 tiene un laboratorio con un gruppo di richiedenti asilo del progetto “Mare Nostrum” con il sostegno di Caleidos Cooperativa Sociale, con il quale nel 2018 ha vinto il bando MigrArti), e nel teatro che si fa negli spazi urbani, con lavori come “Il Draaago” , “Simurgh” e “Pentesilea”.

Epica realizzazione di un teatro all’aperto, in spazi pubblici, che ha coinvolto 20 attori, uno staff di 26 persone, 80 bambini della comunità modenese, 12 attori del Carcere di Modena e di Castelfranco Emilia e i richiedenti asilo del Gruppo Marewa, Moby Dick è in questo senso simbolo della ricerca artistica del Teatro dei Venti. È una sfida, una ricerca ostinata come quella del capitano Achab, una lotta per conquistare qualcosa di immenso come il mare e di importante come l’attenzione di spettatori insoliti, digiuni di teatro, che passano distratti in quegli spazi urbani.

Da lontano avanza sulla scena una moltitudine di bambini coperti da cerate gialle, si fermano incappucciati davanti al pubblico e al grido “io non ho paura!” ha inizio lo spettacolo. Da un lato appare un vasto carro (11×5 metri) trascinato da attori figuranti che si portano davanti al pubblico al suono di tamburi e di una formazione musicale che accompagnerà live lo spettacolo per tutta la sua durata.A livello formale il Moby Dick di Teatro dei Venti è costruito principalmente come uno spettacolo di corpo e musica: moltissimi sono i pezzi coreografati, agiti dagli attori-performer con movenze acrobatiche, a cui fanno da contraltare i meno frequenti momenti recitati, che non convincono appieno nella loro interpretazione.

La voce serve tuttavia a veicolare alcuni nodi del testo di Melville: la riflessione sull’ignoto, i momenti di sfida, di sogno, gli incubi di Achab nell’inseguire Moby Dick, ma anche l’ingenuità di Ishmael, la sfiducia nella propria condizione, la sensazione di fragilità che l’uomo può combattere soltanto imbarcandosi verso l’ignoto. Follia e fragilità sono gli aspetti messi in rilievo dal testo, il cui adattamento drammaturgico è stato curato dal critico teatrale Giulio Sonno, che ha intrecciato il testo di Melville ad altri riferimenti tratti dalla Divina Commedia, dalla Bibbia e dal Faust, per esplorare il rapporto dell’uomo con se stesso e la natura, il prodigio, la paura dell’abisso.

Ciò che senz’altro impressiona e meraviglia di più in questo Moby Dick è la stupenda scenotecnica, ideata da Dino Serra e Massimo Zanelli, che hanno dato forma a una struttura imponente che prende forma e muta sembianza durante l’avanzare dello spettacolo. Prima palco sopraelevato, poi chiglia del leggendario Pequod – la nave che nel romanzo di Melville è il luogo di tutti gli accadimenti –, una scultura composta da costoni in legno e ferro che si leva sul pubblico imponente e suggestiva, per poi trasmutarsi in scheletro – o fantasma – della balena bianca, con un capovolgimento della chiglia che diventa corpo stilizzato del cetaceo. Un’invenzione che non si esaurisce in spettacolarità ma che nasce da un’esigenza di senso: «la nave che diventa balena bianca è la culla che diventa tomba».

Fedele all’immaginario popolare legato al tema trattato – il capitano Achab con una gamba di legno e la voce roca, la ciurma degli attori vestiti da pirata, le coreografie che evocano le battaglie contro il mare nella caccia alle balene – il Moby Dick del Teatro dei Venti non ricerca una rappresentazione altra, un significante astratto o simbolico, ma si china a bussare alle porte dei più disparati spettatori di strada.

 

Ideazione e regia Stefano Tè
Adattamento drammaturgico Giulio Sonno
Consulenza alla regia Mario Barzaghi
Assistenza alla regia Simone Bevilacqua
Direzione musicale Luca Cacciatore, Igino L. Caselgrandi e Domenico Pizzulo
Costumi a cura di Teatro dei Venti, Luca Degl’Antoni e Beatrice Pizzardo
Disegno luci Alessandro Pasqualini
Audio Nicola Berselli
Scenotecnica e realizzazione macchine di scena Dino Serra e Massimo Zanelli
Scenografie Dino Serra in collaborazione con il Teatro dei Venti

Con Oksana Casolari, Marco Cupellari, Daniele De Blasis, Alfonso Domínguez Escribano, Federico Faggioni, Talita Ferri, Alessio Boni, Francesca Figini, Davide Filippi, Hannes Langanky, Giovanni Maia, Alberto Martinez, Amalia Ruocco, Antonio Santangelo, Mersia Valente, Elisa Vignolo.

Una produzione Teatro dei Venti, in co-produzione con Klaipeda Sea Festival (Lituania), con il sostegno della Regione Emilia Romagna, del Comune di Modena e della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, con il contributo del Comune di Dolo (VE) in collaborazione con l’Associazione Echidna.