Il titolo in tedesco ha vari significati: agitazione; sommovimento anche in senso politico e infine bilanciere, ossia quella minuscola parte degli orologi che fa funzionare il meccanismo.
Tutti e tre questi significati sono insiti del film, che il giovane ma già assai esperto regista Cyril Schäublin, trentaduenne zurighese, ambienta nella svizzera di fine Ottocento.
A dispetto del titolo, però, tutto nel film si svolge in un clima tranquillo, come ovattato, quasi monocorde. Una sorta di sterilizzazione delle emozioni, che fa apparire giusto e generoso anche un padrone avido che si arricchisce enormemente di più rispetto ai suoi operai.
La vicenda si svolge in una fabbrica di orologi, ossia in quella che da sempre è stato il core business svizzero e che ne ha arricchito l’economia. La storia si basa sull’esperienza vissuta e raccontata al regista dalle sue stesse bisnonne e nonne, nonché sulle letture che il regista ha fatto dei testi dell’anarchico russo Pyotr Kropotkin (1842 – 1921), che svolse anche attività di cartografo proprio nel cantone di Jura, dove sorse una delle confederazioni anarchiche svizzere.
“Ogni film storico ha necessariamente un richiamo al presente – afferma il regista – perché noi non c’eravamo e non possiamo rendere la vera atmosfera dell’epoca. Io volevo anche indagare sul significato di “tempo”, che per molti è solo un alternarsi di “tic” e tac” di lancette dell’orologio. L’introduzione di concetto di tempo implica un susseguirsi di fatti”.
Il film riconduce a un passato di fabbrica padronale, con orologi regolati con precisione maniacale, ma nella medesima cittadina c’erano ben quattro orari ufficiali: del Comune, della Chiesa, della ferrovia e infine quello più incisivo sulla vita quotidiana, quello della fabbrica di orologi, con scarti di alcuni minuti tra loro.
La fabbrica esercitava il suo potere sui dipendenti in modo ferreo ma garbato, con una cortesia assolutamente formale, distaccata e fredda, eppure inappuntabilmente giusta. “La gentilezza nella durezza era più efficace”, spiega il regista. Così l’anziana operaia che non ha potuto pagare le tasse viene condannata a parecchi giorni di carcere, ma durante la detenzione le è imposto di continuare a lavorare, in modo da non perdere lo stipendio e dunque poter in seguito ricominciare a pagare le tasse.
Il ragionamento non fa una grinza, preciso come un orologio svizzero. Allo stesso modo vengono licenziati in tronco gli iscritti alla associazione anarchica: però vengono pagati fino all’ultimo centesimo dovuto.
Un film interessante, che mette il rilievo aspetti poco noti eppure importanti di una società e di una cultura dai molti contesti linguistici e dalle molte, piccole, precise sfaccettature.
Presentato in concorso al 40° Torino Film Festival.