Ad aprire le danze per la sezione Giornate degli Autori è stato Eye on Juliet, storia d’amore “a distanza” firmata Kim Nguyen – regista dell’acclamato Rebelle premiato nel 2012 a Berlino.
Il lavoro di Gordon – Joe Cole – consiste nel controllare a distanza dalla sua postazione di Detroit una squadra di robot esapodi che sorvegliano condotti petroliferi in Nord Africa. La fidanzata lo ha appena lasciato e ha l’umore a terra, ma una notte una ragazza – Lina El Arabi – recatasi da sola presso gli oleodotti desta il suo interesse. Contravvenendo alla regole, pedina Ayusha – questo il suo nome – con un esapode e scopre che sta pianificando una fuga verso l’Europa assieme all’amato. Nonostante la tragica morte di quest’ultimo e i sospetti dei superiori, Gordon farà di tutto per far aiutare Ayusha a scappare, nella speranza di poter un giorno incontrarla di persona.
Un merito che bisogna ascrivere a Eye on Juliet è l’originalità dell’idea di partenza da cui si sviluppa. Il legame che viene a instaurarsi tra i due protagonisti ha per galeotto un drone radiocomandato, che permette di comunicare in arabo grazie al traduttore simultaneo: spesso ne viene adottato il punto di vista con riprese della videocamera di sorveglianza, che tra visore notturno, termico e zoom cala lo spettatore nei panni dell’operatore.
A ogni modo, a parte questa prima intuizione, la pellicola è in tutto e per tutto di genere, a partire dai personaggi: Gordon mette a rischio l’ultima cosa che gli è rimasta – l’impiego – nel nome di un ideale, ovvero l’indipendenza di una perfetta sconosciuta – forse, sembra suggerire una sequenza, per una somiglianza con l’ex; Ayusha, dal canto suo, è costretta dall’autoritario padre a sposare un uomo più anziano e mettere da parte i propri sogni.
La stessa catena di eventi, nella sua implausibilità, è riconducibile all’alveo del melodramma: emblematico è il caso del drone di Gordon che si imbatte in un vecchio cieco smarritosi nel deserto, col quale disquisisce della natura dell’amore; caso – o meglio, crudel fato – vuole poi che l’innamorato di Ayusha faccia parte proprio dei contrabbandieri che Gordon è incaricato di respingere e che quest’ultimo assista impotente mentre brucia tra le fiamme accesesi accidentalmente a causa di un guasto; troviamo quindi lo stratagemma dei sonniferi con cui Gordon si assicura di agire all’insaputa del supervisore – il quale inspiegabilmente lo lascerà andare fino in fondo dopo averlo scoperto – e il salvataggio – un po’ posticcio – di Ayusha dalla sua prigione domestica. A chiudere l’epopea, con un salto temporale di un anno, vi sarà il lieto fine.
Nulla di eccepibile a ogni modo per quanto concerne montaggio e tempistiche, e lo stesso dicasi per lo spazio dedicato ai singoli personaggi, certo non granché complessi ma dotati di una loro autonomia e calati in una quotidianità ben definita, forse fin troppo verisimile se si considera l’avventura paradossale vissuta da Gordon e Ayusha.
Per quanto Eye on Juliet non sia particolarmente degno di nota, resta il fatto che Nguyen abbia cercato una strada non battuta per raccontare una storia che ormai ci è già stata propinata in tutti i modi possibili.