Presentato Fuori Concorso, Vivere di Francesca Archibugi è il grande mistero di questa sezione: mediocre nel senso etimologico del termine, scoraggia qualsiasi stroncatura o apprezzamento quasi fosse stato congegnato come un prodotto usa e getta, in grado di regalare qualche risata – con trovate non ispiratissime – facendo leva sui buoni sentimenti per poi essere dimenticato a pochi minuti dalla fine della proiezione.
Insegnante di danza squattrinata, Susi – Micaela Ramazzotti – fa la spola senza sosta dalla palestra a casa, dove il marito giornalista Luca – Adriano Giannini – si affanna a mettere insieme 2000 battute di notizie di colore per una testata online. Come se non bastasse, l’asma della figlioletta sembra peggiorare mentre l’arrivo di Mary Ann – Roisin O’Donovan –, la nuova ragazza alla pari, getterà l’ombra del tradimento sulla già instabile coppia.
In un momento storico in cui le poche produzioni italiane che riescono a richiamare un certo numero di spettatori in sala sono le commedie italiote all’acqua di rose, è difficile capire a che titolo Vivere ce l’abbia fatta a sbarcare al Lido, sulla carta luogo deputato alla differenziazione dell’offerta anche nell’ottica di una futura distribuzione. Certo ha tutte le carte in regola per fare i suoi incassi una volta fuori dal festival, a partire dal comparto attoriale dominato – in senso non lusinghiero – dalla Ramazzotti, che con la consueta maschera di popolana dal cuore d’oro – cui derogò con la resa macchiettistica di Valeria Tramonti in Una storia senza nome di Andò, altro mistero del Fuori Concorso della scorsa edizione – si riconferma una delle interpreti più sopravvalutate del panorama nostrano.
Grande outsider in questo cast improntato al divismo, Marcello Fonte nei panni del vicino guardone, cui unico ruolo (marginale) è quello di incarnare il piccolo borghese invidioso nella trita contrapposizione tra vita vera – con le sue amarezze, ma comunque ricca di emozioni – e vita a distanza di sicurezza – dove la sicurezza economica si paga con la moneta della morte dei sensi. In questo senso, il personaggio di Mary Ann è un’altra soluzione di comodo e fornisce una sponda alla sceneggiatura, scritta a sei mani dalla stessa Archibugi, Francesco Piccolo e Paolo Virzì – si intravvede in particolare l’influenza delle recenti produzioni americane di quest’ultimo, come The Leisure Seeker (2017) –, per imbrigliare il motivo comico del razzismo e allo stesso tempo provvedere un contrappeso morale – da buona irlandese la ragazza è cattolicissima – al libertinismo della coppia protagonista.
Film deboluccio e anonimo per quanto provvisto di un intreccio dal buon incastro, Vivere è purtroppo in linea con le ultime produzioni di Archibugi, ormai da tempo inserita nella prassi produttiva cui si accennava nell’introduzione. Tranquillamente perdibile.