“Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza” di Roy Andersson

Un'Odissea satirica tra le miserie umane

Venezia 71. Concorso
Sam e Jonathan sono due rappresentanti di commercio che vendono articoli da carnevale: denti da vampiro, sacchetti che ridono, e maschere. Nelle loro peregrinazioni incontreranno i personaggi più disparati, da Lotte la Zoppa a Carlo XII, re di Svezia vissuto all’inizio del diciottesimo secolo. Il loro viaggio diviene un’odissea tra le miserie umane, osservate dal punto di vista statico ma curioso di un piccione.

Sospeso in una miriade di riferimenti culturali, tra i quadri di Bruegel (dichiarata ispirazione del film) e Hopper, l’Odissea e Don Chisciotte, il nuovo lavoro di Roy Andersson plana come una ventata di aria fresca sulla Mostra. Satirico e dissacrante, ma anche drammatico e angosciante, il film è un continuo accostamento di opposti e situazioni apparentemente incompatibili. Il viaggio viene raccontato attraverso una serie di piani sequenza a camera fissa, quadri dai colori desaturati che suggeriscono un’umanità inconsapevole di essere morta. Canzoni popolari americane vengono ricantate in svedese per ottenere baci e alcool, viaggiatori di commercio depressi vendono scherzi di carnevale, cavie di laboratorio mostrano più vitalità degli esseri umani.

La morte, fisica e interiore, è uno dei temi centrali del film, e Andersson lo affronta con uno spirito iconoclasta degno dei migliori Monty Python, accompagnato però da un pessimismo cosmico di fondo, realizzando un film satirico nel vero senso della parola, in cui si ride e si riflette sulle miserie umane. Andersson vede gli uomini come non-vivi, persone incapaci di riflettere sulla propria esistenza e sull’approssimarsi dell’apocalisse, e per questo ottusamente felici. I personaggi sono chiusi in rituali frusti e in frasi fatte ripetute all’infinito, come fossero slogan, incapaci di cambiare e persino di concepire il cambiamento.

I due protagonisti si imbarcano in un’odissea picaresca, in cui i confini tra realtà e fantasia scompaiono e tutto diventa possibile, mentre la fine del mondo occhieggia dalla finestra. La vicenda narrata diventa però secondaria rispetto a ciò che accade dietro le quinte, con eserciti di altre epoche che attraversano la scena nel momento del trionfo e in quello della caduta, in una serie di immagini che suggeriscono l’inettulabilità e la banalità della morte e dell’esistenza.

Il film ha una fotografia strepitosa, che propone un’alternanza continua di quadri con ambienti beige e personaggi orribilmente e innaturalmente bianchi, cadaveri senza essere coscienti di esserlo. L’influenza dell’arte figurativa, e dei quadri di Hopper in particolare, è evidente in ogni elemento, dalla composizione della scena alla relativa anonimità dei personaggi, sempre inquadrati in campo lungo, senza un primo piano nè uno sguardo più ravvicinato ai loro visi e alle loro emozioni. Lo sguardo del piccione si posa sulle miserie umane come quello di un entomologo che osserva degli insetti, senza pietà né compassione. Ne emerge il ritratto di un mondo in cui la morte diventa marginale e ridicola, e chi muore non viene quasi notato, né tantomeno rispettato, da chi rimane in vita.

Andersson realizza un film originale e profondo, che tocca i grandi temi dell’esistenza umana, dal tempo alla morte, con sguardo fresco, dissacrante e disincantato, rivelando, attraverso l’occhio di un piccione, un mondo divenuto incapace di riflettere su se stesso.

Titolo originale: En duva satt på en gren och funderade på tillvaron
Nazione: Svezia, Norvegia, Francia, Germania
Anno: 2014
Genere: Drammatico
Durata: 100’
Regia: Roy Andersson
Cast: Nisse Vestblom, Holger Andersson
Data di uscita: Venezia 2014