Venezia 68. Fuori Concorso
Aveva detto che si sarebbe dedicato solo alla sua grande passione: i documentari. Dopo l’inefficace Centochiodi, aveva realizzato Terra Madre, Rupi del vino. Ma è stata la fiction, l’idea della sceneggiatura di un film, a soccorrerlo durante la degenza, a seguito di un incidente.
Ermanno Olmi, Fuori Concorso alla 68. Mostra del Cinema, arriva con Il villaggio di cartone. Un trattato filosofico e sociologico sull’uomo e sulla fede, sulla parola e sull’umanità.
Diabasis è la parola che si fa atto.
Un anziano sacerdote, si vede smantellare la sua Chiesa, dal Cristo in croce alle statue. Restano solo delle mura desolate, le vecchie panche di legno, un altare murato. Tutto viene deposto. La corrente è staccata.
Anche Cristo tace, attraverso quelle stesse mura, che un tempo echeggiavano parole di vita eterna.
Rimane solo lui, con il suo latte e i suoi biscotti, la televisione non funziona. Lui c’è.
E parla da solo, a voce alta, per tenersi compagnia.
Ogni volta che saliva sull’altare per la predica, avvertiva una sensazione di vuoto. Non sapeva spiegarsela. Ora che è tutto spoglio, capisce che quel vuoto è un dubbio dentro di sé.
Il Leone d’Oro alla Carriera, alla 65. Mostra del Cinema, Ermanno Olmi raccoglie il vuoto e la desolazione di questo parroco, restituendogli la sua missione ecclesiale.
La risposta alla sua solitudine è nella resurrezione dello spirito di carità.
Da una Chiesa svuotata, la risposta che cerca è nella carità.
Anche se pericolosa, rischiosa, come dare rifugio a un gruppo di clandestini (ospiti, come li chiama).
“Quando la carità è un rischio. È quello il momento della carità.”
Clandestini, arrivati lì in cerca di speranza, sistemati tra le vecchie panche e la sagrestia, sotto una stella cometa, chiedono asilo. Una natività e un’adorazione.
Olmi, con una parola penetrante, rappresenta la ribellione di Cristo, sempre trasmesso con umanità e con spirito di rivoluzione.
Il villaggio di cartone arriva dall’occhio, dalla sensibilità e dalla mente del regista de La leggenda del santo bevitore (qui ritroviamo lo stesso protagonista, Rutger Hauer).
La Carità, si diceva, e l’accoglienza. Olmi non dirige un film buonista. Gli immigrati che lui racconta non sono tutte brave persone. Ma affiora violentemente l’importanza e la sacralità del dialogo, che diventa mezzo per capire sé stessi e gli altri.
Nelle riflessioni, tante, che Il villaggio di cartone impone alla coscienza dello spettatore, tra il Bene e il Male, il dialogo è la salvezza. “Per fare del bene non è necessaria la fede. Il bene è più della fede.”
“Cos’è più importante dell’accoglienza? La sacralità dei simboli? Invece di inginocchiarci davanti a simulacri di cartone, inchiniamoci davanti a chi soffre di più. Qualche volta anche io faccio fatica a riconoscerlo, ma è l’unico modo per lodare Dio”.
La pietas di Olmi si traduce attraverso la necessità di un’azione, da parte di tutti, nei confronti di tutti “o noi cambiamo il corso impresso dalla storia o sarà la storia a cambiare noi.”
Titolo originale: Il villaggio di cartone
Nazione: Italia
Anno: 2011
Genere: Drammatico
Durata: 87′
Regia: Ermanno Olmi
Cast: michael Lonsdale, Rutger Hauer, Massimo De Francovich, Alessandro Haber, John Geroson, El Hadji Ibrahima Faye, Samuels Leon Delroy, Irma Pino Viney, Fatima Alì
Produzione: Cinemaundici, Rai Cinema
Distribuzione: 01 Distribution
Data di uscita: Venezia 2011
07 Ottobre 2011 (cinema)