“La relazione con Kim Kum-sun mi perseguita fin dal 1958. Il fatto di averne parlato nel mio libro del 2009 The Patagonian Hare: A Memoir deve aver probabilmente ravvivato il desiderio di dedicarle un film. Chi aveva letto il libro me ne aveva già parlato e poi François Margolin, il produttore, il cui figlio era il migliore amico del mio (Félix, morto quest’anno di cancro a soli ventitré anni), mi ha persuaso a provarci e ad andare ancora una volta in Corea, questa volta per girare un film”.
Non si smetterebbe mai di ascoltare i racconti d Claude Lanzmann, novantunenne infaticabile narratore e viaggiatore. Napalm riguarda soprattuto una sua incredibile esperienza nella Corea del Nord alla fine degli anni ’50: una breve storia d’amore con un’infermiera della Croce Rossa nordcoreana (storia già inclusa nel suo memoriale del 2012 The Hare Patagonian).
All’inizio di questo racconto, Lanzmann traccia una sintesi della guerra coreana ed è lì che cita l’attacco al napalm degli Stati Uniti contro il Nord comunista del Paese. Lanzmann lo descrive come il momento in cui “il tempo è stato fermato” nella Corea del Nord, lasciando il paese decimato e in uno stato di costante prontezza per la battaglia che è andato avanti per oltre 60 anni fino ad ora, con una capitale che è diventata “monumentale e vuota”.
Il regista gira per Pyongyang, dove ha ottenuto il permesso di filmare sostenendo che vuole fare un film sulle arti marziali e sul Taekwondo. Nella prima parte Lanzmann dialoga con un’ufficiale dell’esercito femminile che gli fa da guida. Nella seconda parte del film è Lanzmann in primo piano che racconta l’episodio cruciale di questo documentario di un viaggio umano.
Alla fine degli anni ’50, Lanzmann faceva parte di una delegazione culturale di sinistra in Corea del Nord e, un giorno, sentendosi male, chiese che gli fosse mandata un’infermiera per delle iniezioni. Nella sua camera fece ingresso un’infermiera della Croce Rossa, Kim Kum-sun; con questa donna di una bellezza rara, il regista scambiò un bacio appassionato e un viaggio verso la città, su una barca con lei. Una relazione casta che il regista, come a ogni essere umano capita, ha forse idealizzato nel corso del tempo. Napalm è l’unica parola che i due si sono scambiati. Il regista ammette che il suo obiettivo forse era quello di spingersi oltre con l’infermiera, ma davanti aveva una persona che non aveva mai smesso di soffrire: prima per l’attacco americano, poi a causa di un regime che l’ha oppressa.
Dopo un controllo di polizia i due si sono dovuti separare, il regista è riuscito a sfuggire grazie al suo visto diplomatico.
Questo monologo raccontato davanti alla telecamera è una storia malinconica e struggente. Per chi ha voglia di ascoltare, Lanzmann è un eccelso narratore che espone il suo punto di vista umano.