2036. L’est Europa, Russia e Ucraina, è lo scenario di una guerra civile.

Truppe americane sono stanziate su una frontiera senza legge controllata dallo spietato “signore della guerra” Viktor Koval, di cui pochi conoscono il vero aspetto.

Per la prima volta il Pentagono ha dispiegato un esercito di robot.

Jonathan Prime​/NETFLIX ​© ​2020

Barricate, soldati robot, droni, scontri a fuoco e soldati umani combattono senza tregua.
Durante un combattimento, la situazione per l’esercito a stelle e strisce diventa più rischiosa del previsto; nel bel mezzo del deserto del Nevada, all’interno di una base militare, il tenente Harp (Damson Idris), pilota di droni, disobbedisce a un diretto ordine per aiutare i suoi “compagni”. Sgancia una bomba, uccide due soldati americani, ma salva tutti gli altri.
Per punizione viene mandato “sul campo” agli ordini del capitano Leo (Anthony Mackie). Tutto regolare, se il suo nuovo “capo” non fosse un androide, dotato pure di coscienza, incaricato di recuperare dispositivi nucleari prima che li trovino i ribelli.

Il regista svedese Mikael Håfström (1408, Il Rito, Escape Plan) dirige per Netflix un film di fantascienza e guerra, scritto da Rowan Athale e Rob Yescombe.

Se da una parte i due sceneggiatori si mostrano seriamente preoccupati – già detto meglio nella saga di Terminator – di soldati robot in grado di prendere decisioni, dall’altra Håfström è più interessato a dare spazio all’azione e alle scene di guerra.

Comunque onvenzionale e comunque dotato di un ottimo ritmo, Ouside the wire merita una visione per la personalità che Mackie riesce a dare alla storia.

Il problema è quando il film si addentra per territori di filosofia etica perché non è in grado di sostenere “la conversazione” sull’emotività umana e robot pensanti. Così si prende troppo sul serio, a malincuore: non potendoselo permettere.