Apertura MIFF
Il film si apre con l’immagine di un terreno pronto per essere arato, come i cuori dei protagonisti del film, che difficilmente si lasciano trascinare dalle emozioni; e subito dopo, l’immagine che viene montata è quella di un piccolo cimitero, dove svolazzano bandiere americane.
Vita e morte di questa cittadina americana, dove tutto scorre con una lentezza quasi asfissiante; silenzio da cimitero appunto; dove la dinamicità, se esiste, è il rumore delle macchine industriali della fabbrica di bambole, oggetti immobili per eccellenza, che man mano prendono forma.
Questo è il luogo/non luogo dove si intrecciano le relazioni “ad personam” dei protagonisti: Marta, Rose e Kyle; una città fantasma, priva di vita, un paesaggio asettico, su cui il regista si sofferma inquadrandone le strade deserte, con qualche abitazione sui bordi.
Marta è una donna gentile e disponibile, accudisce il padre malato, ogni domenica si reca in chiesa e prova un certo affetto per Kyle, suo collega di lavoro, che considera il suo migliore amico; Kyle, invece, vive con la madre, la quale è in cerca di un lavoro. I due si recano a lavoro insieme, pranzano e a fatica riescono a comunicare; infatti Soderbergh ce li mostra più impegnati a consumare i pasti che a relazionarsi; più impegnati nel loro lavoro, all’interno della fabbrica di bambole, dove vengono inquadrati singolarmente; mentre, in maniera quasi maniacale, ci mostra ogni minimo strumento industriale, e come un puzzle, la composizione dell’oggetto-bambola: testa, capelli, corpo, pancia, braccia, gambe e piede. La sensazione, quasi illogica, che ci dà Soderbergh è quella di dar vita alle bambole, in queste sue sequenze, montate benissimo e accompagnate dal rumore-ritmo delle macchine industriali.
La vicenda muta quando al lavoro arriva Rose e Kyle ne è attratto. Ma anche Rose è una poveretta, senza sentimenti e anima. Ha una bambina e si serve di Marta per accudire la figlia, mentre lei esce con Kyle per derubarlo. Rose non piace a Marta, più volte la osserva quando fuma con Kyle, ma nonostante ciò le viene incontro. Quella stessa sera, mentre Rose e Kyle sono fuori e Marta fa da baby sitter alla bambina di Rose, al rientro arriva Jack, l’ex compagno di Rose, i due litigano e Marta, pronta a consolarla, viene respinta: Rose è morta. Marta è in carcere e Kyle ha un sorriso in più, perché la madre ha trovato lavoro.
Un film spietato, in cui i sentimenti faticano ad illuminare la vita; quella luce che illumina solo il volto di Marta e suoi occhi azzurri, quando si ricorda ciò che ha fatto.
Una regia che scruta profondamente le nostre imperfezioni, un film degno di apertura di un festival, che ha come sua metà la genialità creativa e questo di Steven Soderbergh lo ha già nel suo dna.
Incantevoli i protagonisti presenti al festival, attori non professionisti e già questo è un altro modo di fare cinema.
Titolo originale: Bubble
Nazione: U.S.A.
Anno: 2006
Genere: Thriller
Durata: 73’
Regia: Steven Soderbergh
Cast: Debbie Doeberreiner, Dustin Ashley, Misty Wilkins Produzione: Gregory Jacobs, Steven Soderbergh