Sempre più documentari per la sezione che ospita gli esuli dai concorsi a Venezia 74. Con ormai metà della Mostra alle spalle, viene proiettata l’ultima fatica di Giovanni Totaro, un lavoro di non-fiction ambientato a Palermo.
Sulla spiaggia di Mondello ogni estate vengono allestite centinaia di capanne per i turisti che vogliono rimanere per la stagione. Su questo sfondo, nei giorni immediatamente precedenti a Ferragosto, si consumano intrecciandosi mutualmente le tragedie personali di una famiglia disposta a indebitarsi pesantamente pur di apparire benestante, di un trio di signore che non accettano lo scorrere del tempo, di un ambulante che tenta di accumulare il più possibile e di un aspirante consigliere comunale.
La crisi esiste. Questo è il fine ultimo di Happy winter, dimostrare che la crisi è reale, che non c’è un sollevamento significativo e che non ce ne sarà affatto uno nel prossimo futuro. Tutti i personaggi decidono di abbandonarsi alla speranza per qualche settimana, in attesa che l’estate finisca costringendoli così a ritornare a occuparsi della propria situazione. Quel che emerge dalla spiaggia di Mondello è una classe media distrutta, ridotta a doversi costruire un momentaneo nido felice pur di sopportare l’anno venturo. Attendendo quella fiera della vanità che è Ferragosto, quando ognuno può mettersi in mostra nei modi che preferisce, addirittura umiliandosi, le figure più importanti del film s’esprimono in tutta la loro pochezza, sintomo dell’incapacità di comunicare, nonché della privazione del loro ruolo sociale. Mentre il venditore ambulante di bibite cerca di trasmettere quanto più possibile a suo figlio, relativamente a cercarsi in futuro una mansione diversa, senza valutare il problema nella sua interezza, l’altra parte della spiaggia, quella che non si muove, dà il suo peggio.
La moglie della coppia wannabe-benestante vive ancora nell’illusione dei salotti borghesi e trova la sua massima realizzazione nei complimenti che riceve per essersi attrezzata con un bagno nella capanna, le vegliarde cercano nel karaoke una sorta di profonda ragione di vita e di un modo di essere che non è loro pur di ritagliarsi un’identità, e il futuro candidato salviniano ripiega sul malcontento popolare (con i soliti argomenti, quali immigrazione e anti-politica) elemosinando voti tra una branda e l’altra. Il ritratto che Totaro né dà è quindi grottesco, ma senza un giudizio di sprezzo annesso: per lui l’impoverimento culturale complessivo non è certo da imputarsi alle singole persone nella località balneare, ma il suo scopo era quello di definire gli effetti della crisi sulla parte che più la soffre, sia dal punto di vista delle risorse culturali che nella depressione economica, cioè la vecchia classe media.
In conclusione, Happy winter è un’opera documentaristica precisa e impostata con i canoni necessari, capace di mostrare in modo diretto uno spaccato di società italiana in una labile situazione di malcontento che porta dritta alla disperazione; a impedirlo solo un mondo in una palla di vetro che finisce con Ferragosto.