Presentato in Concorso, Sandome no satsujin – letteralmente, «Il terzo omicidio» – segna una svolta in positivo nella filmografia di Kore-eda Hirokazu, che per scandagliare ancora una volta le zone d’ombra dell’istituzione familiare adotta qui un punto di vista inedito.
All’affermato avvocato Shigemori – interpretato da Fukuyama Masaharu, già impiegato dal regista per il suo Father and Son (2013) – è stata affidata la difesa di Misumi –Yakusho Koji –, omicida recidivo che ha derubato e ucciso il suo capo bruciandone il corpo. Dal momento che l’indagato ha ammesso subito la propria colpevolezza il caso sembra chiuso in partenza, ma nel tentativo di evitare a costui la pena di morte e di fare chiarezza sulle molteplici versioni rilasciate Shigemori scoprirà che dietro il delitto si cela un crimine ben più spaventoso e che forse in tutta questa storia il suo cliente non è il vero mostro.
Il film si apre senza preamboli con la notte dell’omicidio, il primissimo piano del volto insanguinato di Misumi intento a contemplare il cadavere mentre brucia tra le fiamme da lui stesso appiccate. Lo spettatore è così provvisto di un tassello di cui gli altri personaggi non beneficiano, che lo fuorvia facendogli credere di essere un passo avanti a loro. Per la prima volta, Kore-eda si addentra nel mondo degli studi legali e delle aule di tribunale adottando in parte gli stilemi del courtroom movie, ma se ne allontana di pari passo con la presa di coscienza di Shigemori, ritornando nell’alveo della speculazione a lui cara: gli affetti.
Nello specifico, ci sono proposti tre modelli di nucleo familiare: quello di Shigemori, con una separazione in corso e una figlia a carico; quello della vittima, composto dalla vedova e dalla figlia Sakie; quello di Misumi, ormai distrutto da tempo. Fino a Sandome no satsujin tali gruppi, nella loro disfunzionalità, avevano sempre trovato un pretesto per ricomporsi, si trattasse di una commemorazione – come in Distance (2001) o Aruitemo aruitemo (2008) –, dell’arrivo di un nuovo membro – Little Sister (2015) – o di una banale contingenza come una pioggia monsonica – Ritratto di famiglia con tempesta (2016) – , ma in Sandome no satsujin ogni speranza è preclusa.
Se per Shigemori l’incapacità di comunicare con la figlia è insormontabile, nemmeno Sakie trova requie a causa del trauma degli abusi del padre, che Misumi ha cercato invano di lavare nel sangue: ma Sakie non può dimenticare né Misumi ripristinarne la purezza ritrovando in lei una figlia. Il quadro generale è di stasi senza possibilità di riscatto, speculare al procedere dell’inchiesta. A questa riflessione si accompagna una grande eleganza formale, con giochi di specchi e riflessi che simboleggiano il riconoscersi l’uno nell’altro dei personaggi, campi larghi che creano geometrie e suggeriscono a loro volta simboli.
Sandome no satsujin è insomma un’opera più oscura rispetto alla produzione degli ultimi anni dell’autore, ma contraddistinta dal consueto lirismo e dalla fiducia nel cuore dell’uomo, capace di contravvenire alla morale comune pur di difendere i propri cari.