Si giunge quindi al dodicesimo episodio, coprendo i due terzi delle diciotto puntate previste per questa terza stagione di Twin Peaks, e la fine si fa sempre più vicina.

Il punto della situazione

Il quartetto FBI, alla luce di quanto accaduto nella Zona, decide di coinvolgere maggiormente Tammy nella indagini, spiegando a lei e a noi la nascita del progetto Blue Rose, mentre Diane continua a comunicare con BOB, che le spedisce della coordinate. A Twin Peaks prende piede un’ovvia indagine su Richard Horne, e nel frattempo ricompare dopo lunga attesa Audrey, impegnata in un litigio con un marito di facciata riguardo alla ricerca dell’amante di lei, scomparso.

La serie

Puntata equilibrata che predispone i pezzi sulla scacchiera mentre ci avviciniamo sempre più a quella che sembra un’importante rivelazione, e, come la precedente, quasi tripartita, tra la squadra di Gordon, le indagini di Truman a Hawk, e la macro-scena di Audrey.

Veniamo a sapere da Gordon e Albert che il progetto Blue Rose nacque negli ultimi anni ’70 in risposta al crescente tasso di casi definibili come paranormali e in seguito al fallimento del progetto antecedente, Blue Book. Albert è l’unico a essere sopravvissuto della prima squadra a essersene occupata, ma nonostante questo, l’eliminazione di Hastings per mano di un woodsman, il personaggio di Lynch che stava per finire risucchiato da un vortice (e non della sua mente, questa volta) e il doppiogioco di Diane ormai chiarissimo al resto della squadra, il clima è estremamente rilassato. Addirittura Gordon si concede del tempo per giocare all’allegro cascamorto con una giovane francese tra un brutto gioco di parole sulle rape e un altro. Ciononostante adesso è palese che Blue Rose non è un’operazione sotterranea e oscura, ma un progetto del tutto regolamentato da un punto di vista istituzionale che gode del benestare del governo e dunque anche di una rete di informazioni e mezzi del tutto invidiabile, il che porta a considerare che la fuga di BOB dal suo mondo sia in realtà il perno non di una sua macchinazione personale ma di un’autentica gigantomachia tra “multinazionali dello spazio-tempo”; tematica che poi non è stata mai abbandonata dal nucleo comune di questa dozzina di episodi anche se mai esplicitata (ce lo ricordano i brevi scambi di battute al bar per certi versi). Il dettaglio più oscuro però riguarda sempre Diane, che riceve delle coordinate da BOB che indicano un preciso luogo a Twin Peaks, che con tutta probabilità è lo stesso della mappa di Hawk e delle coordinate di Briggs. A sei episodi dal termine le convergenze iniziano a essere tante e significative.

Nella cittadina invece Richard Horne è ufficialmente ricercato, e il nonno Benjamin apre le porte a quanto ipotizzato da chi scrive nella settima puntata riguardo ai natali del ragazzo. Dire che non ha mai avuto un padre in questo contesto equivale a puntare un riflettore su quella relazione tra BOB-in-Cooper e Audrey Horne e sulla presunta paternità del primo. Ma se la faccenda si complica e lascia molti spunti senza immediata risoluzione (il bimbo-zombie, il ragazzino pistolero e i legami di costoro con Miriam, che porta il fardello di parte di quell’anima vista da Carl Rood), promette anche un prossimo ribaltamento dei ruoli di personaggi che sinora hanno militato nelle retrovie, come la vedova a intermittenza e segretaria di Ben, o il corrotto Chad.

Chi, a differenza ragazzo di cui sopra, spara invece molto bene è Hutch (Tim Roth), che seguendo i criptici ordini di BOB uccide un padre di famiglia per motivi ignoti, avvalorando la tesi dello scontro tra potenti organizzazioni di cui vediamo solo una parte. Meta-testualmente ce lo conferma il dottor Jacoby, sempre più impegnato nella suo show anti-governo e pro-vanghe.

Fortemente enigmatica rimane invece la ricomparsa di Audrey Horne, che a questo punto con la sua sola presenza fisica suggerisce un legame capitale con Richard. Ciononostante il quadro in cui va a inserirsi non potrebbe essere più oscuro: è sposata a ragioniere affetto da nanismo (autoironia meta-cinematografica a palate), ma a quanto pare è più un affare contrattualistico che altro, al punto che Charlie – questo il suo nome – è costretto a forza di insulti e umiliazioni e partecipare con lei alla ricerca dell’amante Billie. In tutto questo si mescolano le testimonianze non certo degne di fiducia di altri due personaggi senza volto, tali Tina e Chuck. Qualunque resoconto che tenti di andare al di là di quanto detto dai due apparirebbe azzardato e fuorviante.

Episodio che appunto prepara i pezzi per gli avvenimenti futuri senza però dire molto, in sostanza. Enigmatico ma tranquillo, veloce e più spezzettato rispetto ai precedenti. Nessun guizzo, quasi a voler ricalcare anche registicamente la proverbiale calma che precede la tempesta da un punto di vista registico: tanti piani sequenza a camera fissa, montaggio invisibile e totale assenza di dinamismo. In conclusione, si tratta di un piccolo passo indietro rispetto agli ultimi due episodi, anche se lentezza ed equilibrio certo non comportano una mala gestione dei tempi; l’episodio fila via senza problemi, e ci regala tante piccole “note sparse”. A partire da Tim Roth, per passare alla segretaria, fino allo Horne più misconosciuto da queste serie di recensioni, Jerry, che sembra per un momento essere riuscito a risolvere i suoi problemi con il proprio piede sussurrante per scappare dalla foresta, redimendosi qualche passo dopo capitombolando a terra. Divertente e genuina la vena “meta-” di Lynch che aggiunge Cooper alla lista degli assenti illustri assieme al gemello BOB, facendo recitare una scena di cinque secondi netti a Kyle MacLachlan. Lynch gioca ancora con il suo spettatore come un gatto con il topo: se Cooper sembrava sul punto di rinsavire mangiando quella crostata di mele messagli letteralmente in mano da MIKE, e il ritorno di Audrey poteva essere una spinta in più in questa direzione, adesso il suo personaggio compare solo per prendersi una pallata in testa dal figlioletto. Lynch ormai non gioca più con lo spettatore che guarda, ma con quello che interpreta attivamente. Ed ermeneuticamente rivela di essere solo lui sa quanti passi avanti rispetto a tutti.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci qui il tuo commento!
Inserisci qui il tuo nome