Talvolta si ha l’impressione che alcuni concerti, pagando dazio a una presunta marginalità per “addetti ai lavori”, siano destinati a restare quasi sottotraccia, anche quando i lavori in questione si aprono a disvelare tesori musicali di raro ascolto. È il caso del progetto del Conservatorio di Venezia Goldberg Vari(e)azioni, che accanto a un obiettivo specialistico assai stimolante, quello di “approfondire i molteplici aspetti caratterizzanti la monumentale opera per tastiera di J. S. Bach”, ha regalato a fine workshop, nella Sala Concerti del Benedetto Marcello, una performance musicale pubblica di rara bellezza, per di più a ingresso gratuito.

Tra le vari(e) azioni che ruotano attorno al capolavoro di Bach, infatti, non può mancare quel versante della creatività musicale che, a partire dal tardo Ottocento, ha setacciato l’intera opera bachiana per riaccordarne gli elementi “assoluti” a un rinnovato idioma tardoromantico, attraverso una feconda prassi di trascrizione. Operazione in realtà assai variegata, ove le partiture originali migrano ad attraversare orizzonti estetici non sempre omogenei; tra queste, l’adattamento per due pianoforti di Joseph Rheinberger delle Variazioni Goldberg BWV 988 per clavicembalo (1883), nella versione rivista da Max Reger trent’anni più tardi, offre forse uno degli esempi più convincenti di come sia possibile fare della “trascrizione” un intervento ri-creativo sempre e comunque al servizio di un universo sonoro coerente; ove il fine di ogni potenziamento connotativo sul pentagramma, rispetto alla scrittura bachiana, è ovviamente rivolto ad assecondare le caratteristiche dello strumento di destinazione e la mutata sensibilità dell’epoca, ma soprattutto rinnova l’azzardo di restituire un’universalità al riparo dall’urto dei tempi, proiettata oltre ogni effimera forzatura di stile o friabile contingenza di gusto.

Variazioni Goldberg BWV 988: l'autografo bachiano
Variazioni Goldberg BWV 988: l’autografo bachiano

A questo proposito Riccardo Risaliti, nella sua acuta presentazione iniziale, ha opportunamente marcato la differenza fra questa e un’altra trascrizione coeva delle Goldberg, forse più fortunata, quella di Ferruccio Busoni; il cui approccio alla “ricreazione” del materiale bachiano si nutre, in genere, di un orizzonte maggiormente ideologico (in base al quale, ad esempio, poteva qui serenamente disporre il taglio di dieci variazioni su trenta). Un approccio volto, come sua consuetudine, a ricreare la partitura facendola compiutamente “propria”, in nome di un filtro metamusicale d’autore radicalmente pre-filologico, ove l’arbitrarietà dell’alterazione misura con profitto un’evoluzione irreversibile di stile e di gusto. Impostazione estranea alle Variazioni rilette da Rheinberger, su cui si deposita la revisione finale e decisiva di Reger; per il quale il rapporto fra modernità e tradizione resta comunque una questione di artigianato musicale, rimbalzando direttamente dalle dita sulla tastiera all’inchiostro sullo spartito, al riparo dalla foga teorica di chi, forse, rischiava di astrarre un po’ troppo contesto e presupposti del proprio laboratorio musicale.

L'Aria iniziale nella versione di Rheinberger - Bach
L’Aria iniziale nella versione di Rheinberger – Bach

Ma veniamo al concerto. Fin dalle prime note dell’Aria iniziale, il senso complessivo dell’operazione sembra assumere sotto le dita di Elena Valentini e Matteo Liva una direzione precisa; il tema si snellisce, rinuncia agli abbellimenti e appoggiature scrupolosamente segnate da Bach nell’originale, modella un’eco composta fra i due strumenti e si riappropria, quasi a rovescio, di un’essenzialità inedita, utile a incardinare per contrasto l’avventura metamorfica delle trenta variazioni successive, fra riaddensamenti sinfonici e abbaglianti rarefazioni. Il “discorso” delle Goldberg, insomma, sembra fluire naturalmente da un unico retroterra sorgivo di compiutezza poetica, impreziosito qui da coloriture armoniche aggiuntive, appena accennate e mai invadenti, lì da sottili rilanci del contrappunto, nell’infittirsi ad esempio di alcune parti a canone.

Ai due interpreti va innanzitutto il merito di assecondare con estrema naturalezza il disegno d’insieme, traghettando il cesello originale all’interno di un corpo sinfonico compiuto, agogicamente analitico, timbricamente seducente. Alla fine, applausi meritatissimi da parte di un pubblico attento, pur se dolorosamente diradato fra le file della platea, seguiti da un bis mozartiano molto apprezzato.