I MATMOS IN CONCERTO A VENEZIA

10 settembre 2006

Pubblico ristretto, ma sicuramente buono, quello che riempie l’elegante teatro Goldoni di Venezia e che è accorso per la presentazione del nuovo album dei Matmos: “The rose has teeth in the mouth of a beast”.

La frase, che fa da titolo all’album, è presa dal trattato Ricerche filosofiche di Ludwig Wittgenstein, in cui egli immagina che anche una rosa riesca a farsi crescere i denti nel caso si trovasse in una situazione di pericolo, come essere mangiata da una bestia. Roses and Teeth for Ludwig Wittgenstein, la seconda canzone, è infatti accompagnata sul palco da una lenta frantumazione ritmica, contro una panca di legno, di rose. Ogni traccia dell’album ha però una particolarità, cioè è inspirata ad un personaggio che i Matmos ammirano, dal dj Larry Levan alla femminista Valerie Solanas, dallo scrittore William S. Burroughs al re Ludwig II di Bavaria.

La scaletta prevede la maggioranza di canzoni tratte dall’ultimo album, come Tract for Valerie Solanas o Semen Song for James Bidgood, ma anche di canzoni tratte da The Civil War, come Yeild to Total Elation, sempre con l’aiuto di Zeena Parkins, l’arpista che accompagnò in tour anche Björk. Zeena sul palco con i Matmos si scatena, balla, canta, e porta una parrucca nera per non farsi riconoscere. Ha infatti anche aperto il loro concerto, destando però noia e a tratti addirittura fastidio.
Le canzoni, che riempiono l’ora scarsa di concerto, sono sempre illustrate da screens dal forte effetto visivo, che conducono il pubblico in un percorso crescente di ritmi e pulsioni, creati ad esempio, martoriando un triangolo, scuotendo un foglio di carta, gonfiando un palloncino o fischiando in un richiamo per oche. E stranamente suonando una chitarra. Ma negli anni i Matmos sono diventati famosi per ben altro: suoni di mucche che mangiano, di baci, di operazioni chirurgiche, di capelli e di insetti, tanto per citarne alcuni.

Tutto questo sempre rigorosamente live, senza la presenza di basi. Drew Daniel, infatti, si muove a ritmo con la musica, fissando da dietro gli spessi occhiali lo schermo del computer, con la bocca semiaperta in segno di grandissima concentrazione. Il suo collega M.C. Schmidt, invece, è più impegnato a tentare di biascicare qualche parola in italiano, a salutare il pubblico, e a ringraziarlo con commozione.

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