Philip K. Dick, usufruendo di un linguaggio semplice e quasi colloquiale, riesce a realizzare 5 racconti contenti molti dei temi affrontati dal cinema e dalla letteratura fantascientifica. L’autore, però, non si limita a soddisfare il grande pubblico ma è anche capace di esemplificare il tremendo disagio dell’uomo moderno, in continua sospensione tra la sua natura umana e l’impersonale mondo che si sta costruendo passo dopo passo, il quale trova nell’umanoide il suo successore più desiderato e temuto.
In questo volume vengono proposti 5 dei numerosi racconti scritti da Dick del corso della sua attività letteraria. Nel primo racconto “Rapporto di minoranza”, da cui è stato tratto l’omonimo film di Spielberg del 2002, Anderton è il commissario di polizia ed inventore della teoria alla base della Precrimine, un sistema che sfrutta il potere della preveggenza di alcuni mutanti idrocefali -i precog– i quali hanno la possibilità di conoscere in anticipo il futuro; un complessa rielaborazione informatica delle incomprensibili visioni di questi mutanti permette alle forze dell’ordine di conoscere in anticipo i crimini futuri, e di incarcerare individui che “di certo” commetteranno un reato: si tratta di “potenziali” assassini, ladri, cospiratori. I messaggi sibillini dei 3 oracoli attivi all’interno del commissariato, individuano tre linee temporali future “possibili”, due delle quali verranno considerate valide mentre la terza, il rapporto di minoranza, inattendibile: il responso finale nasce dalla media delle due ipotesi considerate valide mentre il rapporto di minoranza viene scartato. Il sistema Anderton, consultando una delle varie schede contenenti le previsioni dei precog, viene a conoscenza di essere il “potenziale” reo di un omicidio destinato a compiersi a discapito di uno sconosciuto: Leopold Kaplan. Sicuro della sua innocenza e sospettando un intrigo per mano del suo futuro successore, Ed Witwer, Anderton decide di scappare, evitando così l’internamento in un penitenziario e la prematura fine della sua carriera. Durante il suo tentativo di fuga il commissario viene bloccato dagli uomini al servizio di Kaplan -che si scoprirà essere un ex ufficiale dell’esercito ormai in pensione- il quale decide di consegnare il fuggitivo nelle mani della polizia per assicurare la propria incolumità. Il tentativo di Kaplan fallisce a seguito di un imboscata organizzata da una squadra speciale di polizia, segreta allo stesso commissario, incaricata di proteggere l’incolumità di Anderton ed aiutarlo a scagionarsi di fronte al Senato e all’opinione pubblica; per riacquisire la sua libertà, Anderton decide di consultare il rapporto di minoranza, che getta dubbi ed incertezze sull’affidabilità dell’ intero sistema Precrimine…
Tutti i racconti di Dick sono pervasi da una fortissima paranoia che logora le sicurezze fondanti la nostra società e la nostra vita stessa, come ad esempio la certezza di poter controllare la realtà che ci circonda, imbrigliandola in un sistema serializzato volto a schematizzarla e selezionarla a nostro piacimento. “Rapporto di minoranza” presenta quindi una sottile critica alla cinica modernità e alle meccaniche regole che la sorreggono, all’importanza rivolta alla società piuttosto che al singolo, il quale deve sacrificarsi per l’amore di un sistema appiattito ed emendato dal male e dal crimine, mutilato della sua parte più animale e recondita. La Precrimine ha permesso che esseri umani malati venissero relegati a “database”, a meri serbatoi d’informazioni destinati ad essere scannerizzati ed rielaborati da macchinari: i tre idrocefali vengono privati della loro stessa umanità, divenendo l’emblema di una società insensibile ed istupidita, che preferisce cancellare ipocritamente la propria malvagità piuttosto che guardarla negli occhi. I sentimenti umani vengono sbiaditi e ingabbiati da questa “struttura perfetta” che non riconosce ai singoli la libertà di difendersi dalle accuse di un reato “non ancora” commesso, mentre la massa accetta passivamente di riconoscere a priori un capro espiatorio, incurante della reale validità del sistema e delle accuse da esso avanzate. Anderton è l’unico che riflette sulla giustizia o meno del fragilissimo meccanismo vigente –da lui stesso creato!-, sul valore di una singola vita umana e sulla crudeltà che si cela nell’accusare senza diritto d’appello un uomo del tutto innocente: l’assopita coscienza delle masse trova corpo in questa controversa figura, vittima e carnefice allo stesso tempo. Per questo suo ruolo implicito il finale del racconto ha in sé una nota di profonda amarezza: il commissario di polizia, incurante delle sue scoperte e delle nuove consapevolezze, decide di sacrificare sé stesso in nome di un sistema riconosciuto “potenzialmente” ingiusto e sorretto da fili sottilissimi, simboleggiando il ritorno al sopore delle coscienze e dell’umanità, che preferisce non abbandonare la mediocre realtà conosciuta per cercare una soluzione pienamente accettata. Ma nei racconti di Dick la paranoia non invade solo la sfera politica e sociale ma s’infiltra anche nella natura umana stessa, fino a rendere indistinguibile l’uomo dalla macchina: in “Modello Due” e “La formica elettrica” questo dilemma viene ripreso sotto due diversi punti di vista. “Modello due” descrive una realtà lacerata da una fantastica guerra scoppiata tra blocco societivo e blocco occidentale a seguito della guerra fredda; l’impiego di robot intelligenti, programmati per uccidere qualsiasi forma umana esistente, ha reso possibile la schiacciante vittoria della fazione occidentale, ma ha anche permesso la libera circolazione di spietati cyborg-killer antropomorfi. Uomo e macchina sono accomunati dalla medesima sete di imporre sé stessi a discapito della specie più debole, impossessandosi di tutto ciò che appartiene alle sue vittime; entrambi raggiungono i loro scopi attraverso l’inganno, l’ipocrisia e lo sfruttamento delle debolezze del proprio nemico, senza guardare in faccia ai propri simili e ai modelli considerati più obsoleti, spingendo la propria specie verso la perfezione e il continuo progresso. Dick ci propone l’immagine di un futuro dominatore della terra, estremamente simile a quella di un ipotetico colonizzatore del XVI secolo, in modo da sottolineare il pessimismo nutrito nei confronti di qualsiasi visione avvenirista ricollegabile alle nuove tecnologie: l’apocalittico futuro ipotizzato dallo scrittore non è altro che il passato umano che ritorna sotto le spoglie di un nuovo conquistatore, così simile alla sua vittima/genitrice. Ne “La formica elettrica”, dove il protagonista Poole scopre di essere un umanoide a seguito di un incidente, il confine che scinde l’uomo dalla macchina diviene ancor meno distinguibile: Poole è un essere meccanico ma insegue l’umanistico obiettivo di superare i confini della propria natura ed inglobare in sé simultaneamente tutte le esperienze vivibili, alterando il nastro della realtà che si trova nel suo torace metallico e che lo fa vivere. La formica elettrica, morendo, assume in sé la possibilità di percepire tutto il visibile nello stesso momento, per poi scomparire per sempre nel nulla della fine, inglobando anche la realtà percepita da chi umanoide non lo è, come ad esempio la segretaria Sarah che lo assiste fino alla fine. La donna vede svanire il suo corpo a seguito della morte di Poole, sottolineando la stretta simbiosi esistente tra la macchina e la vita umana, connubio impercettibile dall’ignara Sarah. Nel mondo di Dick la sfera tecnologica e umana s’influenzano vicendevolmente, aspetto sottolineato dal continua insistenza dello scrittore nel narrare aspetti quotidiani della vita dei personaggi; lo stesso accade nella nostra realtà, sempre più dipendente alle innovazioni meccaniche: questa consapevolezza raggiunge livelli molto alti nei racconti dell’autore, fino a sfociare in una costante paranoica ricerca di identità umana, così appiattita dall’evoluzione, dal progresso, dalla guerra tanto da ridursi ad un esile eco. Per questo nelle opere di Dick si possono ritrovare molte tracce della nostra odierna civiltà, sempre più automatizzata, serializzata, scorporata dalle sue radici e in piena crisi di identità, in un corpo metallico in cui fa fatica a riconoscersi e ad accettarsi. Siamo molto lontani dalle fiabe fantascientifiche alla “Star Wars” o alla “Star Trek”, dove i protagonisti lottano e soffrono ma in una realtà in cui si riconoscono: negli scritti di Dick l’uomo è colto nella piena crisi di un “passaggio di stato”, nel quale con difficoltà riesce a trovare equilibrio e stabilità.
Rapporto di minoranza, Screamers, Blade Runner, Atto di forza e Terminator sono solo alcuni dei film cult che hanno preso spunto dalle geniali intuizioni di questo scrittore americano e dall’atmosfera paranoica di cui sono intrisi i suoi testi. Lasciando innumerevoli tracce nella storia del cinema di fantascienza, senza mai però farsi coinvolgere totalmente dal fascino della pellicola, Dick ha saputo influenzare in maniera determinante non solo gran parte della cultura cinematografica e letteraria legato alla fantascienza ma anche l’immaginario collettivo del XX secolo.
La scrittura di Dick è estremamente semplice, facilmente fruibile e ricchissima di dialoghi, quasi paragonabile alla sceneggiatura di un film o di uno spettacolo teatrale: proprio per questo stile di scrittura, oltre che per i temi affrontati, Dick sembra essere fatto apposta per lavorare nel campo della cinematografia. L’estrema semplicità della sua scrittura rende questo libro accessibile anche a coloro che non sono molto avvezzi alla lettura; nonostante tutto i profondi messaggi e i temi filosofici rintracciabili all’interno di questi racconti possono soddisfare anche i lettori più impegnati o chi non è fan del genere fantascientifico. Assolutamente un libro per tutti.
Fanucci editore, Roma, 2002, 234 pp., 12.50€