NICK CAVE, RITORNO AL BLUES

“Non ha altri paragoni nella musica del secolo scorso. C’è il senso del ritmo, così come nelle tragedie classiche, il dramma nella quotidianità, le vie sporche, gli incontri con il diavolo e via di seguito. Un racconto primitivo”. Il nuovo Nick Cave porta un paio di enormi baffi da sceriffo e si ispira al blues delle origini, imbracciando una torrida chitarra elettrica. E sforna un album crudo, violento, viscerale.

La via al blues per Nick Cave è soprattutto un ritorno alla terra e al sangue, una riscoperta dei bisogni primari che si cela dietro ogni tormento più profondo, impulsivo. Con questo nuovo tostissimo cd Nick Cave azzera il contachilometri, lasciandosi alle spalle (per il momento) le raffinatezze di «Abattoir Blues / The Lyre of Orpheus» e i Bad Seeds. Al loro posto, una line-up ridotta all’osso e una nuova musica intrisa di talkin’ blues e spiritual, e tanta adrenalina.

Il carattere dell’album è chiaro sin dalle prime battute: «Get It On» apre con un Cave predicatore che ha “parole di saggezza” da offrire, incitato dagli altri membri della band, come in un call-and-response, a continuare a raccontare; il tutto sostenuto da chitarre elettriche impazzite (Cave, Warren Ellis) e una sezione ritmica (i già noti Martyn Casey al basso e Jim Sclavunos alla batteria, provenienti dai Bad Seeds) precisa e compatta. Il primo singolo estratto è l’altrettanto cruda «No Pussy Blues», che però non manca di ironia tagliente e provocazione (per capire di cosa parla questa canzone guardatevi il videoclip su MySpace). Cave, più poeticamente, la descrive così: “Quando i nostri sogni e desideri si aggrappano all’uncino da macellaio del consumismo rampante, e il miraggio, l’illusione e le Nike si trasformano nel bocconcino tremante di una donna giovane e impossibile, «No Pussy Blues» la racconta così com’è. È il bambino che sta davanti alla vetrina del pasticcere strabuzzando gli occhi, mentre il proprietario, nel suo camice plastificato, spranga la porta e gira il cartello con la scritta ‘CHIUSO’. È il lamento nel buio dell’Uomo Qualunque.”
C’è posto anche per qualche momento più delicato, come «Chain Of Flowers» e «Vortex» – che sono i pezzi più vicini alle sonorità di «The Lyre of Orpheus» – e per atmosfere meno aggressive, elettriche e fluttuanti, come l’eterea «Man On The Moon» e la bellissima «Don’t Set Me Free».

Dopo 23 anni di onorata carriera e i navigati Bad Seeds a coprirgli le spalle, l’alieno Nick Cave non teme certo di rimettersi in gioco, e ci regala un disco fresco e sanguigno, lasciandoci però con il dubbio se i Grinderman, dopo questo primo (e riuscito) esperimento, avranno realmente un futuro oppure no (il cantautore infatti ha già annunciato che sta lavorando al prossimo disco coi Bad Seeds).
Prodotto da Nick Launay (già negli ultimi due dischi di Cave) e registrato ai RAK Studios di Londra nell’aprile 2006. Esce il 5 marzo.