Rigoletto alla Fenice, nella sua fine è il suo principio

Il Teatro La Fenice di Venezia ospita l’atteso Rigoletto della Dutch National Opera di Amsterdam previsto per maggio 2020 e rinviato causa emergenza Covid-19. Damiano Michieletto fece due regie di Rigoletto, una per Amsterdam nel 2017 e una per il Circo Massimo di Roma nel 2020. La versione olandese, introspettiva, psicologica e più analitica per quanto riguarda le relazioni tra i personaggi, arriva a Venezia dopo quattro anni con doppio cast, un ritardo “felice” che la fa cadere nel 170esimo anniversario dalla prima rappresentazione alla Fenice. Michieletto guarda oltre il Mincio, dopo la tragica notte in cui il Gobbo perse Gilda per sempre. Il principio sta infatti nella fine, nella scoperta che il corpo nel sacco non è quello dell’odiato Duca, ma dell’amata figlia. Rigoletto è rinchiuso in uno spazio asettico, muri bianchi e un’inferriata, la scena fissa creata da Paolo Fantin sapientemente illuminata da Alessandro Carletti. In questa camera di manicomio, l’azione, delirio mentale o allucinazioni poco importa, rivive attorno all’onnipresente Rigoletto. I personaggi, per lo più tutti in bianco nei costumi di Agostino Cavalca, entrano ed escono attraverso squarci di muro che si aprono e si chiudono proprio come fa la memoria umana.

La vicenda personale di Rigoletto e Gilda è ampiamente sfruttata da Michieletto anche attraverso l’ottimo videodesign di Rocafilm (viedoproiezioni di Ideogramma) che fa della scena lo schermo attraverso cui conoscere l’infanzia di Gilda, in un bianco e nero mozzafiato degno del miglior Bergman. Segregata fin da piccola in una stanzetta con le sbarre alla finestra, impegnata a esorcizzare tramite il disegno l’assenza di una madre mai conosciuta, la figlia del Gobbo è vittima non solo della foga sessuale del Duca, ma soprattutto di un padre-padrone che le impedisce di diventare donna. Stufa di cullare i peluche che Rigoletto le regala, Gilda capirà che l’unica via di fuga è sacrificarsi nella locanda di Sparafucile. I dettagli del fare teatro di Michieletto, ormai veri topoi della sua produzione, sono davvero numrosi e raccontarli toglierebbe la sorpresa allo spettatore che fino al 10 ottobre riuscirà a vederlo, fortunato perché i biglietti sembrano pressoché esauriti. Michieletto confeziona uno spettacolo curatissimo in ogni sua minima sfumatura, forte di una coerenza drammaturgica convincente che lo rende senza dubbio uno dei suoi capolavori, con buona pace delle geremiadi dei melomani medi, quelli del “Povero Verdi”. Michieletto crea una tensione costante tramite una regia al cardiopalmo, arrivando a scuotere le corde più intime del pubblico. Basti pensare al “Cortigiani” cantato dal baritono solo in scena, circondato dai disegni colorati della figlia, momento ricco di pathos che strappa un lungo applauso. Che dire del finale “liberatorio” dove il sorriso di Gilda bambina vince sulla morte terrena? La tradizione, come diceva Mahler, è mantenere acceso il fuoco, non adorare le ceneri. Michieletto è uno dei pochi che da tempo l’ha capito.

Anche Daniele Callegari fa della tradizione un fuoco sempre vivo, epurandola da quella leziosità di maniera che spesso si sente in edizioni più retrive. Callegari ha ben presente le tinte scure del Rigoletto e va di pari passo con la modernità della regia di Michieletto, scegliendo una narratività asprigna quanto la musica di Verdi in cui la bassezza delle linee melodiche del Duca e la poesia di Gilda convivono.

Nel ruolo eponimo Luca Salsi, Rigoletto più uomo che buffone come vuole Michieletto. Il suo “Cortigiani” strappa un lungo applauso, meritato per la precisione con cui sa rendere le tribolazioni di un padre beffato. Ivan Ayon Rivas, già Faust alla Fenice a giugno scorso, è un Duca corretto. Claudia Pavone affronta brillantemente, seppure lesinando la coloratura, una Gilda combattuta tra l’affetto per il padre e l’aprirsi al mondo esterno. Lo Sparafucile di Mattia Denti si distingue per eleganza e fredda lucidità, mentre la Maddalena di Valeria Girardello punta su un’esuberanza lasciva che si accompagna bene alle bordate del Duca. Precisi la Giovanna di Carlotta Vichi e il Borsa di Marcello NardisGianfranco Montresor è Monterone determinato e scenicamente autorevole. Bene anche Armando Gabba come Marullo e Matteo Ferrara come Ceprano. Rosanna Lo Greco è contessa di Ceprano puntualissima nel brevissimo duettino. Completano il cast l’usciere Emanuele Pedrini e Sabrina Mazzamuto, un paggio della duchessa.

Il coro, preparato da Claudio Marino Moretti, assolve ottimamente al ruolo di cortigiani lubrici e disumani.

Pieno consenso per tutti alla prima del 29 settembre senza alcuna contestazione per Michieletto&Co, segno che questo Rigoletto mette d’accordo tutti.

Luca Benvenuti