Evento attesissimo, il Faust al Teatro La Fenice di Venezia è un atto di resilienza. Dopo mesi di streaming, rimettere piede in sala è per molti una grande emozione. Non potendo ancora eseguire l’opera nelle modalità consuete, si adopera l’intera platea e per brevi momenti il palcoscenico. Non è una soluzione che agevola orchestra e cantanti, ma è un primo passo per tornare alla normalità. La scelta del titolo non è casuale. Faust di Gounod è sempre stata per La Fenice l’opera con la quale si tornava all’attività dopo una disgrazia. In tempi in cui quotidianamente si contavano le vittime della pandemia e la morte tornava a tormentare l’esistenza di molte famiglie, Faust ci ricorda l'”appuntamento comune”, rammentandoci come la vita non sia che l’eterna lotta tra il bene e il male.
Il regista Joan Anton Rechi mette in relazione il debutto del Faust nel 1859, anno in cui iniziò la guerra contro l’invasione austriaca in Italia, e Senso di Visconti, ambientato alla Fenice alla vigilia della Terza guerra d’indipendenza del 1866. I costumi, curati dallo stesso Rechi, nascono da questo accostamento. Ecco spiegate le divise austroungariche, Sissi e Franz Joseph. Il prologo, la kermesse e il valzer sono momenti riusciti a cui contribuiscono le belle luci di Fabio Barettin, ma il resto è teatro didascalico. La serenata “Vous qu fates l’endormie” risolta con mossette da cabaret, care al Rossini morassiano; i fuochi fatui che si contorcono su un velario come le streghe del Macbeth di Michieletto; Marguerite biancovestita lorda di sangue come una Lammermoor qualsiasi; il ritorno di Valentin dall’oltretomba… tutto già visto. Che dire di “Gloire immortelle” ridotto a siparietto comico?
Tra gli interpreti della prima del 25 giugno si distingue Alex Esposito, Méphistophélès sicuro negli attacchi, preciso nel fraseggio e chiaro nella dizione. Il ruolo, affrontato per la prima volta a Tolosa nel 2016, si addice alle sue poliedriche doti di mattatore. Paola Gardina è Siébel incisivo così come il Wagner di William Corrò. Ivan Ayon Rivas dà tutto se stesso per un Faust corretto e dignitoso. La Marguerite di Carmela Remigio, approcciata più da “première soprano d’opéra-comique” che da “forte chanteuse de grand opéra”, è giocata prima sulla civetteria poi sull’inebetimento della dannazione. Nell'”aria dei gioielli” la coloratura latita e progressivamente l’interpretazione vira più verso il gesto che il canto. Completano il cast Armando Noguera come Valentin poco centrato e Julie Mellor come Marthe.
Perfetto il coro, preparato da Claudio Marino Moretti, seppur costretto a cantare con addosso le mascherine.
Perché andare a sentire, più che a vedere, questo Faust? Per Frédéric Chaslin. La sua è una direzione magistrale, ispirata e sontuosa. Chaslin scolpisce la musica e calibra sapientemente melodie e dinamiche. Tutto è analizzato nei minimi dettagli e chiare sono le idee interpretative del maestro per restituire ora l’intimità ora la frivolezza ora la tragicità del linguaggio di Gounod.
Applausi entusiasti da parte del gremito pubblico, Esposito e Chaslin favoriti.
Luca Benvenuti