“Dobbiamo attendere ancora cinque o dieci anni ma poi il tema dell’intersessualità non sarà più un tabù”. Così dice Helena, la protagonista femminile di questo sorprendente film ceco. Sembra dare ottimismo e fiducia. Peccato che le sue parole siano pronunciate nel 1937, anno nel quale è ambientata la trama. Da allora sono passati ormai quasi cento anni ma l’argomento continua a essere difficile da accettare.

Il film è condotto come un “giallo” ambientato quella che allora era Cecoslovacchia, poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale. La società è in evoluzione, l’industria si sta espandendo, i capitalisti sono ottimisti e nessuno crede davvero che il capo della vicina Germania abbia intenzioni bellicose. L’unico vero nemico sono i comunisti, che si oppongono alla crescita economica capitalista.

A Svit, città futurista in costruzione (nell’attuale Slovacchia) nel mezzo di una natura ancóra incontaminata, viene aperta una nuova fabbrica di fibre sintetiche (il riferimento però è alla ben nota marca di scarpe cecoslovacca “Bata”).

Nonostante il trionfale ottimismo, gli oppositore sono sempre in agguato e quando nella fabbrica viene trovato il cadavere di un neonato con evidenti caratteristiche sessuali da ermafrodito, i vertici aziendali subito pensano a un sabotaggio dei comunisti per far allontanare gli operai. La polizia politica giunta da Zlìn, città dove la fabbrica ha la sede centrale (proprio come la Bata), individua un gruppo di comunisti e li punisce duramente.

La vicenda finirebbe qui, senonché Helena (superbamente interpretata da Eliška Křenková, nata a Praga nel 1990), la giovane moglie di Alois Haupt, il rampante e arrivista direttore della fabbrica, decide di svolgere una sua indagine personale. Helena è convinta che la verità sia ben altrove ed è determinata a trovarla. Unica donna in un ambiente dirigenziale tutto maschile e fortemente patriarcale, capisce che nessuno degli indizi porta ai comunisti. Saranno invece i suoi studi di medicina a portarla sulla giusta strada. Ma alla soluzione del mistero contribuiranno soprattutto la fiducia che Helena pone nella scienza, la sua apertura mentale, la sua mancanza di pregiudizi e il suo senso di giustizia.

Un film coraggioso ma mai sopra le righe, che parla al passato ma si rivolge al presente, con il tema dell’accettazione di chi ha differenti tendenze sessuali e di chi più in generale è “diverso”.
Il giovanissimo regista ceco Matej Chlupacek (classe 1994), qui al secondo lungometraggio, sostiene che sia importante che se ne parli in modo equilibrato e non ideologico, specie perché le gravi e ben note tendenze omofobe e illiberali della vicina Ungheria sono sintomo di regresso, altro che di un’imminente “Alba” , che è il significato letterale del titolo in ceco. Nella versione internazionale il titolo sembra un promemoria: “We have never been modern” che è anche il titolo di un saggio dell’antropologo e sociologo francese Bruno Latour (1947 – 2022).

L’industria Bata è la fabbrica nella quale più di ogni altra si identifica lo Stato in Cechia, con il nome del suo fondatore Tomáš Baťa (1876 – 1932) associato a molte vie, scuole, ecc.. Tomáš Baťa morì poi durante un viaggio in aereo. Anche se non è mai nominato, è chiaramente evocato nell’ansia per ogni viaggio aereo.
La casa da sogno postmoderno dove Helena vive con il marito direttore è Villa Benies, una delle pochissime rimaste in stile cubista, a Litol circa 40 Km da Praga.

Presentato nel 2023 al Karlovy Vary, nel 2024 questo film è in concorso alla 39esima edizione del Lovers Film Festival di Torino, dove ha ottenuto due meritatissimi premi:
la MENZIONE SPECIALE della Giuria, “Per la rappresentazione dell’intersessualità messa in scena con una cinematografia formalmente impressionante, che riesce a calare nel lontano 1937 una tematica particolarmente attuale”; il PREMIO GIO’ STAJANO “Per aver raccontato la rarità e la preziosità di un tema sinora poco affrontato cinematograficamente come quello dell’intersessualità, con grande delicatezza e scientifica incisività negli anni ’30 del novecento. Una fotografia struggente e una storia queer di un mondo che cambia, sempre in tensione tra modernità e tradizione e dove la figura femminile di Helena è uno schiaffo al perbenismo della civiltà odierna, che nel nuovo millennio non ha ancora completamente accettato l’amore tra due uomini o tra due donne o l’identità trans e non binaria.”