Don Giovanni torna al Teatro La Fenice di Venezia. L’allestimento, firmato Michieletto-Fantin-Teti, è del 2010. Riproposto nel 2014, nel 2017 e nel 2019, si conferma una produzione di punta della fondazione veneziana. A differenza di altri allestimenti riproposti dalla Fenice, la regia di Michieletto, ripresa da Eleonora Gravagnola, rimane attuale nonostante il corso degli anni. Come dimenticare momenti quali “Madamina, il catalogo è questo“, “Mi tradì quell’alma ingrata“, “Il mio tesoro intanto“, perfettamente riusciti nella sincronia canto-azione? O, ancora, la bravura nel sottolineare la mai eccessiva vena erotica del libretto con un’originalità narrativa che caratterizza adeguatamente i differenti protagonisti? Proprio il tempo che passa arricchisce di fascino decadente la scenografia girevole ideata da Paolo Fantin. Sulle tante pareti damascate si aprono numerose porte. Intrigante è immaginare cosa ci sia in queste camere ove può avvenire di tutto, come se il palazzo di Giovanni fosse il castello di Barbablù o di De Sade. Eppure gli usci si aprono e si chiudono, alla spasmodica ricerca del perfido, camaleontico seduttore. E’ uno spazio trasformato, per metafora, nel labirinto degli autoinganni che la mente partorisce. In questo contesto, il light design di Fabio Barettin crea suggestivi chiaroscuri. I costumi di Carla Teti sono classici e quasi impregnati dai diversi umori organici.
Robert Treviño dimostra un’ottima conoscenza della partitura, optando per una lettura abbastanza classica, trovando agogiche e colori interessanti da ogni sezione orchestrale. Tuttavia la direzione risente di alcuni scollamenti tra buca e palco, prontamente aggiustati dai cantanti in scena.
Di gran levatura è il Don Giovanni di Alessio Arduini, a suo agio sia nel registro grave che acuto, dal fraseggio variegato e séduisant. Lo affianca Roberto De Candia, Leporello disinvolto e molto umano, che cesella l’aria del catalogo con grande souplesse. Leonardo Cortellazzi è Don Ottavio all’altezza delle arditezze tecniche richieste da Mozart che sa valorizzare appieno una parte che altri spesso rendono anonima e dimenticabile, tanto da riscuotere calorosi applausi a scena aperta al termine di “Il mio tesoro intanto“. Il tormentato Masetto di Lodovico Filippo Ravizza possiede una linea di canto sontuosa e colorata. Gianluca Buratto interpreta il Commendatore e impressiona per il volume portentoso della voce.
Carmela Remigio conosce Donna Elvira come le sue tasche. Rimane sempre perfetto il lavoro fatto sul personaggio quanto quello sulla voce, matura e disinvolta nel fraseggio come nel gesto espressivo. Belle le variazioni di “Ah chi mi dice mai” ed emozionante “Mi tradì quell’alma ingrata”, aria in cui la scena gira vorticosamente su se stessa. Saremo sempre grati al compianto Claudio Abbado per aver colto la predisposizione di Remigio al repertorio mozartiano che la volle come Donna Anna nel 1997 a Ferrara. Sostituisce l’indisposta Laura Ulloa nel ruolo di Zerlina Lucrezia Drei, abilissima nel coniugare l’ingenuità con la malizia e dotata di una voce elegante, impiegata con grande intelligenza e padronanza tecnica. Desirée Rancatore, che debutta nel ruolo di Donna Anna, piace molto al pubblico.
Bene il Coro, preparato da Alfonso Caiani.
Successo per tutti alla replica del 24 maggio, con particolari apprezzamenti per Cortellazzi, Arduini, Remigio e Rancatore.
Luca Benvenuti