I nuovi Orizzonti della 67. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica e la Crisi

Inside Orizzonti. Parte III

È un cinema che si rinnova e continua a sperimentare. Un cinema che analizza rigorosamente un’attualità difficile e complessa. Un cinema che dà spazio alle più svariate forme espressive.

La sezione Orizzonti della 67. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia volge anche uno sguardo alla crisi dell’immagine e alla crisi mondiale. Fenomeno che c’è stato, c’è, ci sarà e che ha inevitabilmente segnato la vita del singolo e della massa. Si sviluppa un itinerario filmico che mira a fissare istanti e parole, che voglia raccontare il gesto quotidiano e l’implicazione globale con frammenti (talvolta scomodi) di una realtà attuale che ci appartiene.

Ma uno sconvolgimento dei sistemi non può che sconvolgere anche le rappresentazioni filmiche. O meglio: stimolare gli artisti a pensare per noi (gli spettatori) nuovi modi di comprensione, nuovi sistemi di reattività, nuovi approcci a ciò che parrebbe illeggibile. Un cinema come alfabeto sensibile che assume le forme di 8 opere originali: Patrick Keiller, Robinson in Ruins (Regno Unito); Noël Burch, Allan Sekula, The Forgotten Space (Olanda/Austria); Elina Talvensaari, How to Pick Berries (Finlandia); José Luis Guerin, Guest (Spagna); Laura Amelia Guzmán, Israel Cárdenas, Jean Gentil (Repubblica Dominicana); Jean-Gabriel Périot, Les Barbares (Francia); Armin Linke, Francesco Mattuzzi, Future Archaelology (Italia); Roee Rosen, Tse (Israele).

Robinson in Ruins, l’opera di Keiller (London, Robinson In Space) racconta con una tecnica cinematografica personale un nuovo viaggio nell’Isola (Inghilterra) di Robinson. Robinson è un invisibile erudito professore che ostinatamente scruta la realtà, esamina segni e tracce, strade banali o monumenti celebri, accumulando documenti, testi e citazioni. Robinson fa man mano diventare infernali immagini apparentemente innocue e realizza un’analisi implacabile della crisi del 2008.

Noël Burch, critico cinematografico di fama internazionale, e Allan Sekula, artista e scrittore americano, hanno invece realizzato The Forgotten Space, un’opera che narra di uno spazio dimenticato del nostro tempo: il mare. È lì che la globalizzazione diventa più visibile (e violenta). Elemento chiave di questo processo, iniziato dopo la Seconda Guerra Mondiale, sono i contenitori per le navi-cargo e il container è l’oggetto primario della fabbrica globale.

Dalla Finlandia arriva poi How to Pick Berries di Elina Talvensaari, un film che sviluppa uno studio sulla mentalità finnica e sulle assurdità dell’economia globale. Dei visitatori provenienti da un posto lontano giungono nelle terre della Finlandia del Nord. Come dunque si può comunicare con queste persone che raccolgono bacche?

Guest è invece l’ultima opera di José Luis Guerin, regista che aveva già realizzato Innisfree (1990), presentato a Cannes in quell’anno, En Construcciòn (2001), premiato al Festival di San Sebastian, e En la Ciudad de Sylvia, in concorso alla 64. Mostra di Venezia. Con Guest Guerin ricorda l’amico Jonas Mekas e riprende da Venezia a New York, dalla Cina all’America latina momenti di vita e parole che a poco a poco costruiscono ciò che lui (un «guest», un invitato di passaggio) ha intuito: «Viviamo in un mondo in preda al timore del Diluvio Universale, scosso da procelle e fulmini, insicuro e fragile, ma dove rimane sempre intatta la magia dell’incontro».

Dalla Repubblica Dominicana arriva Jean Gentil di Laura Amelia Guzmán e Israel Cárdenas. Il film racconta la storia di Jean Gentil, un anziano insegnante haitiano. Il protagonista inizia una mattina un viaggio sempre più disperato, alla ricerca di un posto nel mondo e di una ragione per vivere. Come un Umberto D. di Haiti l’uomo si dissolve nella realtà che lo circonda e il rigoglio dei paesaggi dell’isola non riesce più a dissimulare i tormenti dei suoi abitanti.

Les Barbares è invece il nuovo video di Jean-Gabriel Périot, regista che ha all’attivo numerosi cortometraggi al confine tra documentario, animazione e sperimentazione. Les Barbares condivide la scottante attualità delle news televisive, ma è anche il prodotto di uno sguardo radicalmente altro sulla cronaca delle tensioni sociali ed economiche recenti. Composto esclusivamente di immagini fotografiche prese dalla rete, è un apologo politico sulla fine delle oligarchie e l’urgenza del cambiamento.

Interessante è poi Future Archaeology, film-saggio in 3D di Armin Linke e Francesco Mattuzzi. L’opera dei due registi ragiona sul destino del conflitto sui territori palestinesi e sul fatto che vada considerata la possibilità di un’evacuazione delle colonie e dell’architettura dell’occupazione israeliana. Le aree che in Palestina sono o saranno liberate dalla presenza israeliana rappresentano un laboratorio in cui ri-immaginare le funzioni dell’urbanistica e dell’architettura, liberate dal potere e dal controllo che le hanno caratterizzate. Linke e Mattuzzi riflettono sul concetto di “decolonizzazione”, esplorando il territorio e la sua cultura, raccogliendo casi e testimonianze.

Infine estremo ed esplicito è Tse (Out) di Roee Rosen, artista scrittore e regista israelo-americano. Il film unisce il tema della politica alle pratiche S&M e culmina in un rituale ideato dall’artista per liberare una giovane dallo spirito di Avigdor Lieberman, discusso politico ultra-conservatore, ministro degli esteri del governo israeliano, fondatore e leader del partito Yisrael Beiteinu, paragonato dalla stampa internazionale a Jeorg Heider e a Jean Marie Le Pen. Rosen rielabora la figura dell’esorcismo presente nella letteratura ebraica come nel cinema horror, mentre il piacere erotico estremo e violento si trasforma in un impensabile strumento di lotta politica contro razzismo e nazionalismo.