Il geniale e versatile regista cileno Alejandro Amenábar, 47 anni e già affermato, pluripremiato e amato dal pubblico, si è cimentato in un impegnativa pellicola storica su un preciso e decisivo periodo spagnolo: l’ascesa del dittatore Francisco Franco.
Salamanca, 21 settembre 1936: “Solo fintanto che dura la guerra”  era la postilla che il generale Miguel Cabanellas aveva chiesto di aggiungere al documento che avrebbe dato pieni poteri al generale Francisco Franco. Cabanellas conosceva Franco e sapeva che senza quella postilla sarebbe stato capace di tenere il potere fino alla morte. Quella postilla avrebbe forse potuto cambiare il corso della storia.

Il film si concentra sui convulsi giorni di quella tragica estate spagnola, che diedero il via a quaranta anni della dittatura di Franco. Giorni controversi, tanto che lo stesso colpo di stato, l’ Alzamiento, fu dapprima salutato con entusiasmo persino dallo scrittore e docente basco Miguel de Unamuno (impersonato da Karra Elejalde, anch’egli basco). Unamuno, appena incontra Francisco Franco, lo definisce: “Un pover’uomo”. Ma ben presto l’anziano letterato si rende conto di essersi sbagliato, di non aver capito che cosa stesse accadendo; vede gli inganni, le incarcerazioni arbitrarie, le discriminazioni razziali e le uccisioni senza processo. Tenta disperatamente di convincere ad usare clemenza verso i condannati: “Siamo cristiani”, dice. Franco (un raggelante Santi Prego) controbatte: “E infatti diamo ai condannati la possibilità di pentirsi e andare il paradiso. Gli avversari non concedono questa clemenza ai nostri ”.

È molto interessante come il film illumini la complessa figura di Unamuno: forte e debole al tempo stesso, ricorda il Galileo Galilei di Bertolt Brecht; incarna l’essenza dell’intellettuale e patriota, padre e nonno amorevole che faceva deliziosi origami per il nipotino, politico rigoroso ma anche critico, un uomo sfaccettato e alla fine capace di uno scatto di orgoglio. Il film riporta fedelmente il coraggioso discorso da lui pronunciato il 12 ottobre del 1936, durante l’apertura dell’anno accademico, che coincideva con la celebrazione del Giorno della Razza: “Per convincere bisogna persuadere e per persuadere avreste bisogno di qualcosa che vi manca: ragione e diritto nella lotta”. Per poi concludere con il grido “Viva la vita!” che suonò come un insulto al generale José Millán-Astray (Eduard Fernández) e alla Legión Española, il cui motto era “viva la Morte!”.

Unamuno dopo queste parole su messo agli arresti domiciliari e morì di infarto due mesi dopo.
Un film preciso nella ricostruzione storica, con belle immagini e musiche (alcune sono opera del regista medesimo), interpretato con bravura da tutto il cast. Soprattutto un film assolutamente da vedere per l’interesse nella scelta del soggetto e dei temi, che affiorano dal passato con uno inequivocabile e drammatico richiamo al presente che stiamo vivendo e che, forse proprio perché lo stiamo vivendo, come Unamnuno lo sottovalutiamo e non sempre riusciamo a vederne lucidamente i pericoli e gli allarmi.

Il film è presentato al Torino Film Festival 2019 nella sezione Festa Mobile.