GINO ROSSI E ARTURO MARTINI. “QUANDO L’ARTE SI TACE”

La Fondazione Benetton Iniziative Culturali di Treviso propone un percorso storico per riscoprire il sodalizio tra due protagonisti dell'arte italiana del Novecento

Un’esposizione dalla vocazione storica, piuttosto che artistica, per approfondire la conoscenza della vita, delle vicende e del pensiero di Gino Rossi e Arturo Martini, ospitata fino al 19 marzo 2006 a Treviso nella sede di Palazzo Bomben della Fondazione Benetton Iniziative Culturali, un bel edificio da poco restaurato a due passi dal duomo cittadino.

“Quando l’arte si tace”, questo il titolo della mostra, rappresenta un percorso conoscitivo, supportato da documenti storici visionabili dal vivo o con l’ausilio delle moderne tecnologie informatiche, sui due importanti autori della Marca dei primi del Novecento.

“Il viola intenso del cielo, la sparizione dell’orizzonte, la materia intensa dell’olio, il verde Veronese accanto al blu di Sevres, i tocchi di rosso vermiglione, la linea curva che traccia sulla superficie della tela il paesaggio e le figure, creando spazi e prospettive”. Così Donatella Levi descrive i tratti essenziali dell’opera di Gino Rossi, che rappresenta una figura meno nota ma comunque di riferimento del panorama artistico nazionale. Come testimonia ad esempio la retrospettiva che nel 2004 gli ha dedicato a Brescia Marco Goldin, curatore di successo che però non si contraddistingue certo per scelte artistiche coraggiose o controcorrente. Rossi non è un comprimario, ma un protagonisa.

La mostra di Palazzo Bomben è il frutto delle ricerche storiche condotte in particolare sul periodo manicomiale, un lavoro puntiglioso coordinato con passione da Vera Mattiuzzo. Infatti, le traumatiche esperienze della Prima guerra mondiale e dell’abbandono da parte della moglie, oltre alle condizioni d’indigenza e alle difficoltà incontrate con il mondo accademico italiano “ufficiale” – che lo respinse ad esempio dalla Biennale d’arte di Venezia – portarono Gino Rossi prima alla depressione e poi alla follia. “In pittura sono ancora Cézanne?”, si interrogava l’artista. “Potrebbe essere un bene se davvero lo capissero e lo amassero”, si rispondeva con l’amarezza di chi si rende conto d’essere fuori tempo: “Quando l’arte cessa di essere della sua epoca muore”.

Nei vent’anni durante i quali Rossi è vissuto nella struttura del manicomio Sant’Artemio di Treviso, dal 1926 al 1947, gli ultimi della sua esistenza, l’artista aveva infatti continuato a dipingere, trovando nella pittura la forza identitaria per sopravvivere nel girone infernale, quali erano tutti i manicomi italiani. Se le tracce delle tele dipinte durante quel periodo sono andate perdute, rimangono invece gli schizzi che il “Maestro”, come lo definivano gli infermieri, tracciava sulle riviste e sui libri che i visitatori di volta in volta gli portavano. Bozzetti di una nuova opera che probabilmente mai riuscì a realizzare, linee a volte difficili da decifrare nelle quali si ritrova chiaramente il suo stile. Il “materiale” su cui si basa il percorso espositivo sono proprio questi lavori, oltre alle lettere e ai documenti che ne delineano la vita e all’affresco“I tre pesci”, insieme elementare e simbolico, asportato dalla parete del manicomio sulla quale l’artista l’aveva tracciato.

Sono invece i “colloqui” di Arturo Martini con Gino Scarpa lo strumento attraverso il quale il visitatore viene invitato ad approcciarsi o ad approfondire la figura e il pensiero di questo artista, grande amico di Gino Rossi ma anche da lui estremamente differente. Integrato nella società dell’epoca e sicuro di sé, Arturo Martini si vantava d’una una falsa modestia dai toni dannunziani. Nelle decine e decine di fogli manoscritti si affrontano a 360 gradi tutte le tematiche dell’arte, ma non solo, con ricorrenti riferimenti alla “grandezza degli antichi”, che secondo l’artista, “Era loro naturale perché circondati da misteri. Quando il mistero è rilevato muore un mito“. I “colloqui” sono quasi sedute psicoanalitiche che, per Martini, dovevano servire alla stesura della sua biografia, che però Scarpa rifiutò fino alla fine di redarre.

A corredo della mostra, sono stati inoltre restaurati e proposti al pubblico tre ispirati cortometraggi del regista Paolo Saglietto: “Il mio dissenso” su Gino Rossi, “Arte senza pace” su Arturo Martini” e “Un simbolo chiamato Zero” su Giovanni Commisso. Commisso era assai vicino a Rossi e Martini, e oltre al celebre scrittore il visitatore della mostra ritroverà nelle lettere e nelle fotografie i nomi di Ciro Cristofoletti, Natale Mazzolà, dell’intellettuale poliedrico Giuseppe Mazzotti, dell’artista Arturo Malossi, dello scultore Toni Benetton, del gallerista Giorgio Zamberlan: quello che per un lungo periodo è stato il “gota” dell’arte e dell’intellighenzia trevigiana e veneta testimonia la centralità di Rossi e Martini, protagonisti dell’irripetibile stagione di Ca’ Pesaro.

GINO ROSSI E ARTURO MARTINI. “QUANDO L’ARTE SI TACE”
Treviso, Palazzo Bomben
dal 27 novevembre 2005 al 19 marzo 2006
ORARI: tutti i giorni dalle 10.00 alle 20.00, chiuso il lunedì
chiuso 25, 26, 31 dicembre 2005
1 gennaio 2006 aperto dalle 15.00 alle 20.00
BIGLIETTERIA: biglietto intero 6€, biglietto ridotto 4€, biglietto studenti 4€, biglietto scolaresche 5€ (compresa visita guidata)
VISITE GUIDATE: solo su prenotazione, gruppi 25 €, singoli 10 €
Info: www.palazzobomben.it