“Lo scarfalietto” di Eduardo Scarpetta al Franco Parenti di Milano

Ricoperti di polvere ma spassosi

Felice e Amalia, marito e moglie, non fanno altro che battagliare. L’ultimo pretesto per i loro litigi è dato dallo scaldaletto (lo “scarfalietto” del titolo) che nella notte si è rotto. Ormai non c’è altro da fare che rivolgersi al tribunale per chiedere la separazione. Se il primo atto si svolge nella casa dei due protagonisti (che ingaggiano divertenti duetti coi rispettivi avvocati e poi litigano di fronte a Gaetano Papocchia, un gagà arrivato a chiedere in affitto un appartamento per la sciantosa di cui è innamorato), il secondo si sposta in teatro, dove il Papocchia corteggia la soubrette (ma viene scoperto dalla moglie), e dove Felice e Amalia vengono a chiedergli di testimoniare, ciascuno a proprio favore. Il terzo atto è in tribunale, dove i litigi tra Felice e Amalia si incrociano con quelli tra Gaetano e la moglie e con l’apprensione del giudice per l’imminente parto della moglie, mentre l’avvocato Raganelli svolge la sua arringa, pezzo forte della commedia.

Ispirato a una pochade di Meilhac e Halévy (La boule), ’o scarfalietto è stato scritto da Scarpetta nel 1881 ed è uno dei maggiori successi tra le “riduzioni” che l’autore napoletano realizzò a partire da testi di autori francesi. Malgrado questa ispirazione dalla pochade francese, a prevalere, più che i meccanismi dell’intreccio, è l’esasperazione caricaturale dei personaggi (coi loro difetti dipinti con bonarietà e condiscendenza, come pretesto puramente comico più che come spunto satirico). I personaggi sono ancora legati a un’impostazione macchiettistica e sono definiti in modo da lasciare ampio spazio di libertà all’inventiva degli interpreti. ’o scarfalietto rimane comunque uno dei testi più significativo della “riforma” attuata da Scarpetta – il superamento della maschera di Pulcinella attraverso la figura di Felice Sciosciammocca, personaggio impegnato (come scrive nelle sue memorie: Cinquant’anni di palcoscenico, Savelli, 1982, p. 260) in “situazioni se non vere, almeno un po’ verosimili” e fulcro di una comicità che nasce dall’osservazione della borghesia e dal “contrasto che nasce dall’essere al voler sembrare” (p. 261).

L’adattamento realizzato da Geppy Gleijeses inizia con una trovata visivamente e concettualmente molto efficace: i personaggi escono da un grande libro polveroso, si scrollano la polvere di dosso e si stiracchiano come a destarsi da un lungo torpore. I personaggi e le situazioni di Scarpetta, effettivamente, appartengono a un tempo lontanissimo dal nostro, a un modo di intendere il teatro che non ci appartiene più e che può essere riproposto oggi solo mettendolo, in qualche modo, in una cornice che segnali questa distanza. Collocati all’interno di questa cornice, senza fuorvianti tentativi di “attualizzazione”, e sviluppati con grande sapienza e precisione “artigianali”, i personaggi di Scarpetta sono però ancora capaci di far ridere.

E così, si ride molto guardando questo allestimento de Lo scarfalietto, fino a quasi averne a sazietà. Un bravo in particolare va a Gleijeses, impegnato in un tour de force trasformistico tra Gaetano Papocchia e l’avvocato Anselmo Raganelli: le sue prime entrate nei panni dei due personaggi sono spassosissime. Marianella Bargilli disegna una megera magrissima, vestita di nero e dai movimenti rigidi e nervosi, una specie di Morticia Addams da cartone animato. Al contrario della moglie, sottoposta a una pesante trasformazione fisica, il personaggio del marito si presenta a noi con un aspetto fisico e con un abbigliamento molto meno marcati, e portando in dote il capitale di simpatia di Lello Arena. Questo fa sì che si crei una certa disparità nella coppia e che don Felice possa apparire il più delle volte come un “buon uomo” angariato da una moglie arcigna, piuttosto che – al pari della moglie – un arricchito rimasto ignorante, borioso e presuntuoso.

LO SCARFALIETTO
di Eduardo Scarpetta
Adattamento e regia di Geppy Gleijeses
Con Geppy Gleijeses, Lello Arena, Marianella Bargilli, Gennaro Cannavacciuolo.
Musiche di Matteo D’Amico – Scene di Paolo Calafiore – Costumi di Sabrina Chiocchio – Luci di Luigi Ascione
Produzione Teatro Quirino e Teatro Stabile di Calabria
Al Teatro Franco Parenti di Milano dal 7 al 19 febbraio 2012