La Scalera Film

Storia (poco conosciuta) di una casa cinematografica

1943 – La determinazione messa in atto dai tedeschi per cercare di stanare ebrei e partigiani in una Roma sempre più atteritta dalla paura, l’approssimarsi delle truppe americane lungo la penisola, avevano convinto i fratelli Scalera a portare le attrezzature della loro casa cinematografica, nata cinque anni prima lì a Roma, su al nord, precisamente a Venezia, ritenuta, a ragion del suo isolamento, l’unica città dove la guerra, seppur esistente, sembrava non ci fosse… Già nel 1941 vengono a sapere di alcuni spazi, presenti nell’isola della Giudecca, pronti per essere riadattati. L’isola che fa da cintura a S. Marco e alla sua celebre piazza, sembra essere il luogo ideale. Alle spalle del Mulino Stucky ci sono alcune vecchie stalle abbandonate, subito acquistate. Dice una nota del Comune di Venezia – Direzione servizi tecnici – Parere degli Uffici: “ Trattasi di locali adibiti a stalla, fienile, cantina, molino, in condizioni rovinose. Per quanto riguarda il fabbricato adibito a servizi (uffici, camerini ecc.) si fa presente che al I piano il corridoio distinto con la lettera A sarebbe privo di aria e luce. Sarà quindi da consigliare la costruzione di lucernai apribili. I locali adibiti a teatro sarebbero privi di finestre. Dovendo essere senza luce, la Ditta assicura che verranno installati degli aspiratori elettrici. Venezia 24 maggio 1943.”
Arrichitisi con appalti stradali in Africa, tornati a casa si danno ora anima e corpo per dar vita ad un progetto nuovo e coraggioso: realizzare ex novo la prima casa di produzione cinematografica italiana, dove tutti, dai registi alle comparse, saranno regolarmente assunti (i soldi messi a disposizione dagli stessi Scalera e dal socio Barattolo, sono sufficienti a dare stabilità, almeno per i primi anni).

L’isola

La Giudecca già agli inizi del 1900, si stava espandendo. L’insediamento di attività produttive, modifica pure le caratteristiche dei suoi abitanti. Pescatori e ortolani ora lavorano al Cotonificio di Mariano Fortuny, o alla Jughans fabbrica tedesca di orologi o allo stesso Mulino Stucky. L’insediamento degli stabilimenti Scalera, in quel triste 1941, apparve a molti come un bizzarro paradosso, se si pensa a quello che c’era intorno: la guerra che aveva ridotto tutti a tirar la cinghia, fece aumentare la diffidenza verso tutto quello che sembrava artificioso. Ed il cinema rientrava in questo. Ma non tutto venne per nuocere. Se da un lato il sistema della produzione offriva solo poche speranze per attori debuttanti (tutti cast erano formati da attori che venivano da altre città e gli unici, cui ci siano pervenute notizie e che abbiano sfondato alla Scalera, sono stati Cesco Baseggio e Gino Cavalieri), per gli altri non rimanevano che parti secondarie o qualche comparsata nei film storici che, con una certa frequenza, si girarono allora. Non era certo pane sicuro, ma visti i tempi…

Nel gennaio 1944 si aprono gli stabilimenti, ma solo il 6 Maggio vengono inaugurati ufficialmente, alla presenza del Ministro Mezzasoma. (Nel filmato inedito dell’Istituto Luce in mezzo a tristi gerarchi, campeggia grande l’enfasi retorica di una scritta: “Il cinema è l’arma più grande” a firma di Mussolini). Lo stesso giorno si dà il primo giro di manovella al film “Senza Famiglia” dal romanzo di Malot. Tra i protagonisti c’era un certo Eminio Spalla noto boxer, uno dei migliori pesi massimi allora in circolazione…

Il lavoro alla Scalera

Le intenzioni degli Scalera & socio, erano quello di creare una casa di produzione che ricalcasse il modello degli studio-systems americani. Una B-Movies seppur con budget limitato. La stasi della vita veneziana (ma testimonianze precise affermano che il controlla della città era nelle mani delle SS tedesche), permisero alla neonata società di svilupparsi senza ostacoli. Ciò che produssero in questi primi anni, fu un cinema che, seppur di modesto valore, aveva però un carattere popolare. Al già citato Senza Famiglia fecero seguire “Rosalba” di cui non esistono copie spravvissute, con Doris Durante diva del Regime, poi “Ultimo Sogno”. Ma la precarietà della guerra, le troppe collusioni col regime prima e la Repubblica di Salò poi, fecero andare in rovina quasi tutti. Chi poi schieratisi apertamente con quest’ultima (è il caso di Osvaldo Valenti e Luisa Ferida) finirono per essere arrestati dalle truppe partigiane e poi fucilati. Miglior sorte toccò a Cesco Baseggio che, miracolosamente, riuscì a salvarsi.

Verso la fine del 45, a guerra ormai finita, l’attività riprese a buon ritmo. In città arrivarono attori importanti del calibro di Gino Cervi e Rossano Brazzi. A far crescere l’entusiasmo degli Scalera c’è poi la certezza che il peggio sia ormai passato. Da un importante studio condotto da Marianna Clissa, forse l’unica oggi in Italia ad avere conoscenze precise ed estese sulla storia della Scalera Film, si intuisce come, venuto meno quel mondo fatto di agganci e amicizie compromettenti e forti, fossero venuti a mancare le necessarie coperture perché la produzione andasse avanti. I rendiconti bancari evidenziarono perdite d’esercizio sempre più preoccupanti. Non c’è banca disposta a credere ai film prodotti. E’ venuta meno pure la rete di distribuzione che prima era certo più capillare e che garantiva ai film stessi di girare tra le sale cinematografiche.

Ma alla Giudecca la crisi non c’era. O meglio si faceva di tutto per mascherarla. Si sperava sempre nel film che avrebbe messo tutti a tacere. Nell’attesa arrivano nuovi registi, si preferirono film del genere “Cappa e spada” accanto a melodrammi d’opera, forse per andare incontro ai gusti della gente. Ma si crede anche al nuovo cinema che, timidamente, si stava facendo strada, quello di stampo neo realista. Ecco Francesco De Robertis girare “La Vita Semplice” squisito quadretto d’ambientazione veneziana (girato quasi tutto presso lo squero di S. Trovaso, alle Zattere) racconta le vicende di alcuni squeraroli (costruttori e riparatori di imbarcazioni tipiche fra cui la gondola) alle prese con l’ottusa e ridicola sfrontatezza di alcuni signorotti che intenderebbero acquistare lo squero per poterci costruire nuove case…

Il filone neo realista non si esaurirà con De Robertis. Un suo assistente, tale Roberto Rossellini, debutterà qualche mese dopo con “La nave bianca”. Dal 1945 al 1946 è l’ambiente veneziano a favorire una serie di film di carattere storico: “La gondola del diavolo”, “Sangue a Ca’ Foscari” poi “Il tiranno di Padova”. Nel 1947 una crisi finanziaria blocca le produzioni di tutti i film, ma l’anno dopo si torna a girare. Il filone è diverso.

I titoli sono nomi presi dal mondo del gioco delle carte: “Rocambole”, “Baccarat”, ma si torna ancora al melodramma con “Lohengrin”, ma è un fuoco di paglia. Nel 1949 la crisi si fa più grave. Vengono licenziati tutti. Ma la voglia di riprovarci ancora fa tornare gli Scalera di nuovo in laguna. Si girano quattro film. Il filone è quello della guerra di liberazione. I titoli sono presi dal mondo del gioco delle carte: “Rocambole”, “Baccarat”, ma si torna ancora al melodramma con “Lohengrin”, ma è un fuoco di paglia. Nel 1949 la crisi si fa più grave. Vengono licenziati tutti. Ma la voglia di riprovarci ancora fa tornare gli Scalera di nuovo in laguna. Si girano quattro film. Il filone è quello della guerra di liberazione. Ecco “Camicie rosse”, “Taverna della libertà” poi “Cabbia, mascotte dei partigiani” e ancora “La montagna di cristallo”. L’anno dopo è la volta de “Il ladro di Venezia” film storico accolto favorevolmente dai veneziani (la stima parlò della presenza di alcune centinaia di comparse). Ma le crisi degli anni precedenti avevano evidenziato i limiti di un sistema, che, seppur avanzato, non aveva più punti di contatto col territorio, ne sostegni di alcun tipo. La prospettiva di una rinascita era solo virtuale. Nel 1951 si gira ancora.

“I misteri di Venezia” sarà l’ultimo film girato dall’etichetta dei fratelli Scalera che l’anno dopo cederanno studi e attrezzature ad una cooperativa di volenterosi veneziani i quali riusciranno a produrre un film, dal titolo emblematico: “Lasciamoli vivere”. Poi saranno altre produzioni e registi ad avvalersi degli spazi offerti dalla cooperativa.
Nel 1952 si gireranno alcuni interni del capolavoro, questo si, di Orson Welles “Othello” che porterà, però, le case di produzione italiana e francese sull’orlo del collasso finanziario con un ammanco di ben 431.536.962 lire che, per quei tempi, corrispondevano ad una cifra davvero colossale!

Ma ormai siamo alla fine. Nel 1953 tuttavia è l’ormai affermato Luchino Visconti a servirsi degli studi per girare alcune scene di “Senso” uno dei migliori film italiani di tutti i tempi…

Conclusioni

Quello della Scalera Film è stato senz’altro un capitolo coraggioso della grande storia del cinema italiano. Non fosse per la passione e e le risorse finanziarie messe a disposizione dagli Scalera, che hanno permesso al cinema italiano di quegli anni di continuare ad esistere, oggi parleremo di ben altro. Ed è stato questo il motivo che ha convinto Luca Evangelisti e Massimiliano Maltoni, unitamente a Marianna Clissa, a dar vita a “Hollywood Giudecca” convegno di studi sulla Scalera Film tenutosi a Venezia il 27 maggio 2005. Dai contributi degli studiosi intervenuti, ma grazie anche alle testimonianze di ex dipendenti della Scalera ancora vivi e ai filmati inediti dell’Istituto Luce, oggi siamo in possesso di una ricca quanto sorprendente documentazione che testimonia il percorso di questa casa di produzione e colma tante lacune e non so.

Quella della Scalera Film, a tutt’oggi, è stata una storia che non sembrava far onore all’opposto schieramento politico dei suoi cittadini. Tutto ciò aveva consentito solo una timida e parziale ricostruzione. Dice Marianna Clissa nel suo intervento:”Proprio in questa visione d’insieme (la Scalera) si introduce nel panorama cinematografico in maniera determinante, applicando programmaticamente al prodotto italiano […] il modello hollywoodiano, improntato sul controllo della catena del valore e sull’integrazione verticale del settore. In questa ottica la Scalera da forma ad un apparato industriale destinato a rimanere un esperimento isolato nella storia del cinema italiano moderno: il primo serio tentativo di industrializzazione della cultura cinematografica che prende forma durante il ventennio fascista. Dunque la Scalera si segnala come espressione più evidente di una dinamica di industrializzazione della cultura che spinge verso la sostanziale sprovincializzazione del nostro paese, in direzione di quella modernità che si è rivelata, infine, assai difficile da raggiungere.