“Dai diamanti non nasce niente…”: e infatti Michele (Massimiliano Varrese), giovane e brillante artista, un tempo non aveva nient’altro che la sua arte ma ora, sistemato agiatamente grazie al matrimonio con una imprenditrice iperattiva e onnipresente, “con il culo al caldo”, ha perso l’ispirazione. È apatico e quasi afasico. Non gli riesce nemmeno di concludere l’opera più importante della sua carriera, un affresco per una manifestazione religiosa internazionale. La moglie gli impone una sorta di terapia d’urto e lui si trova a “vivere senza radici, senza niente… è come essere nessuno…”.

In questa nuova realtà la vita di Michele si intreccia, prima con fastidio ma poi con sempre maggior coinvolgimento, con quella di persone che vivono, o sopravvivono, lottando contro difficoltà e dolore, al limite o anche fuori, della legalità, nella convinzione che “il senso della vita è solo un punto di vista”.
Tra questi nuovi compagni di esperienze vi sono Rosalia (Luisa Maneri), donna matura e generosa, che non manca mai di offrire un caffè, mentre si batte tenacemente per ottenere la libertà della figlia adottiva (Valentina Melis) internata in manicomio; Andrea (Sara Manduci), artista che mostra a Michele che non tutto è come sembra; Boban (Giulio Cancelli), che gli apre le porte di uno mondo balcanico a lui sconosciuto attraverso le musiche della mitica cantante folk romena Romica Puceanu ; Salvo (Giovanni Morassutti), attore che parla solo in versi; sullo sfondo vi è la città di Trieste, con la sua bellezza antica e malinconica.
“Libertà è avere la mente vuota”, spiega Andrea, e ancora “ Partire senza aver concluso le cose non sarà un viaggio facile”.
Perle di saggezza che, unite alle nuove esperienze, cambiano la vita di Michele persino nel vocabolario, dove trovano posto alcune “parolacce” liberatorie. “Ricordo un’intera sessione all’Actors studio di New York – racconta Giovanni Morassutti, alias Salvo – sul valore catartico della parola “fuck”: le parolacce sono liberatorie per un attore della scuola realista. Al contrario nel film ho dovuto mantenere la veridicità del mio personaggio, pur mantenendo un linguaggio rigorosamente colto: è stata una vera e propria sfida. Avrei tanto desiderato poter dire anche qualche volgarità….!”.
Un film piuttosto impegnato, che sa di anni Settanta, con buoni sentimenti e un messaggio di sana ribellione e scelte di libertà, con un andamento lento che tende a evocare emozioni soffermandosi su dettagli, sguardi, immagini; con “ i ricchi” che sono “ cattivi” e “i poveri” che sono “buoni” e che alla fine vincono perché più generosi, veri e sinceri.


Una storia onesta, complessa, non priva di paradossi tragicomici; po’ faticosa nella prima parte, che stenta a decollare, forse per i troppi intrecci che si dipanano a rilento e rischiano di sottrarre profondità alle figure, che appaiono abbozzate ma non banali, soprattutto grazie alla buona prestazione di tutta la squadra di attori.
Il quarantaduenne bellunese Stefano Usardi, regista e scrittore anche del testo e della sceneggiatura, è al suo quarto lungometraggio, presentato al Festival del Cinema di Roma RIFF 2019. “Adoro cercare il confine che separa la realtà dalla finzione – spiega – perché vivo in un mondo in cui la differenza non sempre mi appare chiara. Per questo cerco di mettere i personaggi in situazioni reali seppur paradossali. Siamo mascherati tra di noi e l’attore, alla fin fine lo è meno di tutti, nei miei lavori per niente”.

La pellicola è distribuita da Premiere film.