“L’Époque” di Matthieu Bareyre

...sed peiora parantur

L'epoque

Documentario solo di nome, L’Époque è il perfetto esempio di come un cineasta che si professi vicino al cinema del reale – quale è lo stesso Matthieu Bareyre di cui il film in questione porta la firma – non dovrebbe condurre un’indagine, caratterizzato da un’impostazione voyeurista che strappa un sorriso e nessuna riflessione.

Dall’attentato alla redazione di Charlie Hebdo di tre anni fa alle presidenziali che hanno portato all’elezione di Emmanuel Macron, la Francia è stata suo malgrado sotto i riflettori per gli attacchi terroristici che a più riprese hanno sconvolto il quieto vivere dei suoi cittadini, senza contare i cambiamenti politici e sociali intercorsi nel frattempo. È questa la temperie culturale che Bareyre si propone di approfondire, lasciando la parola ai diretti interessati: i ragazzi cui appartiene – o dovrebbe appartenere – il futuro del Paese, nel quale sempre meno si riconoscono.

l'epoque

Girando esclusivamente con il favore delle tenebre con una microcamera BlackMagic e un sistema di registrazione portatile, il regista e la sua piccola troupe hanno raccolto materiale dal 2015 al 2017 alla ricerca di soggetti disposti parlare a cuore aperto delle proprie paure e posizioni. Il film si apre con alcune domande esistenziali – del tenore di «Ti senti libero?», «Cosa ti renderebbe felice?» – passando quindi alle rime di alcuni rapper di strada e a un ragazzo che riflette sul domani. Fin qui nulla di nuovo, ma nelle risposte alle grandi questioni si annida sempre qualcosa di interessante e uno sguardo alle sottoculture è un ottimo metodo per inquadrare una generazione. Un giovane con una macchina da presa che chiede a dei giovani di descrivere cosa pensano i giovani: praticamente una partita vinta in partenza, eppure Bareyre riesce comunque a mancare il bersaglio.

Con il solo appoggio di un criterio alternativamente antinomico e associativo per il montaggio, le riflessioni dei due personaggi ricorrenti del lungometraggio – la DJ Soall e la manifestante Rose – sono accompagnate da un contorno di incontri/interviste una tantum che di fatto superano le prime per minutaggio. Ma il risultato complessivo non è molto diverso da quello che si otterrebbe prendendo il telefonino di un ventenne qualunque e visualizzandone in successione i filmati della galleria.

l'epoque

Presentata come una (video)lettera all’attenzione del Presidente e delle istituzioni francesi onde testimoniare la giusta insofferenza della gioventù, L’Époque non è che un’accozzaglia di luoghi comuni sinistroidi e vagamente anarchici dalla bocca di una varia umanità cui denominatore comune è la grande confusione. Bareyre consegue insomma lo scopo, opposto a quello professato in sede teorica, di dare ragione agli “oppressori” – che piacerebbe magari capire chi siano – che vedono nei giovani solo dei buoni a nulla o dei facinorosi.

Senza chiamare in causa la controparte e cercare il confronto – i poliziotti per esempio, oggetto di lunghe inquadrature ma di nemmeno un’intervista –, l’autore si schiera senza riserve confezionando un esordio immaturo e pretenzioso, in cui, in relazione ad alcune sequenze, si solleva pure il dubbio di una messinscena staged tutt’altro che documentaristica. Politicizzato solo in senso polemico, L’Époque riesce quantomeno a non annoiare.