“Alice T.” di Radu Muntean

Alice nel paese delle pastiglie

Alice T.

A 12 anni di distanza dalla sua prima volta a Locarno con The Paper Will Be Blue (2006), Radu Muntean torna in Concorso con Alice T., cronaca schietta di una gravidanza adolescenziale che si destreggia tra cliché e aspettative, ma finisce per non essere né carne né pesce tradendo la buona fede dello spettatore.

Dovrebbe essere l’ultimo anno di liceo ma per AliceAndra Guți – la scuola non è certo la priorità, a maggior ragione ora che la madreMihaela Sîrbu – ha scoperto che è incinta. La soluzione più comoda sarebbe l’aborto ma la ragazza vuole tenere a tutti i costi il bambino. Riuscita a vincere le resistenze della famiglia, Alice non sembra comunque intenzionata a rinunciare al suo stile di vita, ma non sa che le bugie hanno le gambe corte…

Alice T.

Di giovanissime alle prese con una gravidanza inaspettata ne abbiamo viste di tutti i colori, di recente in salsa nostrana con Piuma (2016), qualche anno più indietro con titoli del panorama pop americano quali Precious (2009) o Juno (2007). Ma a differenza di quanto farebbe supporre la prassi, Alice T. manca del taglio vittimista, tragicomico o indie che siamo stati abituati a vedere. Anzi, sembra quasi che Muntean non voglia dare nessun taglio al proprio film, presentandocene la protagonista per quello che è: una ragazzina frivola, viziata, senza nulla da segnalare sul piano fisico o intellettuale. E, cosa ancor più curiosa, ne consegue che lo spettatore non può parteggiare fino in fondo per lei, anche nei limiti della sospensione di giudizio.

Si svela così il vero volto di Alice T., quello di un film unipuntuale in più d’un senso. Vediamo solo quello che Alice esperisce, ovvero le bravate e i malintesi provocati dalla sua predisposizione “patologica” per le bugie: un egoismo che costringe a una visione parziale, impedendo di apprezzare le dinamiche affettive e interiori che permettono al suo ego di raggiungere proporzioni fuori scala. E la macchina da presa, che in ogni sequenza è fissa in una e una sola posizione facendo al massimo grado affidamento sulla profondità di campo, conferma questo assioma di Alice al centro del mondo.

Alice T.

La gravidanza va progressivamente in dissolvenza fino a diventare un memento che si rivela decisivo allorché il castello di carte crolla, senza però che nel mentre Alice abbia dato segni di miglioramento o anche solo di evoluzione. Alice T. è insomma un racconto che nega se stesso, autopoietico e autodistruttivo. Il fine della mimesi della quotidianità – grazie anche al supporto dei buoni interpreti – è raggiunto, ma non quello di formulare un giudizio, che è base irrinunciabile della stessa quotidianità.

Passi l’approccio digressivo che si traduce in tanti episodi circoscritti e privi di spessore narrativo, ma se si vuole evitare pure la disamina del contesto non si può pretendere che a chi guarda resti qualcosa. Nel milieu di Alice e in Alice stessa non c’è nulla che si muova, quello che doveva succedere succede, senza interrogativi sospesi. Alice T. ha un buon ritmo e si fa guardare grazie anche a una certa verve umoristica, ma le belle trovate non possono che cedere il passo all’indifferenza quando i titoli di coda iniziano a scorrere.