Uno dei pregi dei festival internazionali come quello di Locarno è che ci permettono di guardare ad angoli di mondo di cui quasi ingoravamo l’esistenza. Ad esempio alla verde ma desolata regione del Mar Nero, in Turchia, dove la coppia di cineasti Guillaume Giovanetti e Çagla Zencirci (francese lui, turca lei) ha deciso di ambientare il loro Sibel, presentato nel concorso internazionale.

In questo paesaggio rurale e selvatico dimenticato dal tempo, tra foreste fittissime e campi di grano sterminati, i due registi inseriscono la giovane Sibel (Damla Sönmez), una ragazza muta fin da bambina che si esprime solo attraverso un antico linguaggio locale fatto di fischi e sibili. Sibel passa gran parte del suo tempo nei boschi, dove oltre ad andare a trovare una vecchia maga che vive lì da sola cerca di catturare un lupo che tormenta i pastori della zona. In una delle sue trappole per animali cadrà invece un terrorista latitante che stava usando i boschi che Sibel conosce a menadito come nascondiglio. Da qui inizierà uno strano rapporto tra la ragazza e il criminale che la porterà a grosse tensioni con il padre, con la sorella e con tutti gli abitanti del villaggio.

Tra abitanti del villaggio arrabbiati, lupi cattivi e vecchie streghe il sapore del racconto folcloristico e della fiaba c’è tutto. Un personaggio come Sibel, che vive a contatto con la natura e quasi come un predatore non parla e sembra avere come unico scopo quello di catturare il lupo, potrebbe benissimo essere uscito da un racconto vecchio mille anni, da una vecchia leggenda Turca vecchia di generazioni. Gli elementi fiabeschi però, che pur ci sono, si limitano a questi, e per quanto rendano suggestivo il racconto non danno molto altro al film. Tolta l’originalità della protagonista e il retrogusto di racconto popolare che aleggia per tutta la pellicola, resta un film in cui la scorrevolezza e la fluidità non la fanno certo da padrone, ma anzi vengono minate da elementi della storia che non vengono approfonditi abbastanza o sembrano essere quasi fini a se stessi (uno su tutti l’episodio legato alla sorella della protagonista). Un lato positivo del film sono sicuramente le scene più crude, dalla lotta nel bosco tra Sibel e il latitante ai momenti in cui la protagonista, ormai un tutt’uno con il suo bosco, prepara esche e trappole per il lupo con metodi quasi primitivi.

E il tema del primitivo, del selvaggio, del bestiale, è forse quello affrontato meglio dalla pellicola, che racconta di fatto la storia di una protagonista al limite del selvatico, figlia di un’altra era geologica, che trova strette le regole di un mondo civilizzato in cui persino la sua famiglia sembra metterla a disagio. Emblematica in questo senso la scena in cui la protagonista prova timitamente  apresentarsi, truccata  e vestita come una ragazza del villaggio, a una festa delle amiche di sua sorella, venendo pesantemente umiliata. Questo è uno di pià lati positivi di un film che forse pretendeva di essere più di quello che si è rivelato essere ma che riesce comunque a raccontare una storia semplice dal sapore appunto fiabesco.