“ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE” di Lewis Carroll

Libro per ragazzi o per adulti?

Personaggi buffi, strani, deformati popolano il surreale mondo in cui Alice scivola inavvertitamente: conigli e bruchi parlanti, cappellai matti, finte tartarughe, gatti che scompaiono e riappaiono senza motivo… Per molti possono apparire frutto della mente fantasiosa di una bambina sveglia ed intraprendente: e se in realtà questi personaggi così buffi fossimo proprio noi?

La scelta di proporre la lettura di tale libro in questo spazio culturale potrebbe far sorridere molti: alcuni per i teneri ricordi d’infanzia che suscita, altri, forse, perché lo considerano “letteratura per ragazzi”, mera “lettura d’intrattenimento” che poco centra con le questioni culturali e che è utile solo per ammazzare un po’ il tempo. In effetti nessuna delle due reazioni potrebbe essere biasimabile, dato che questo testo si adatta ad entrambe le situazioni, incarna sia un grazioso ritorno all’infanzia sia una piacevole lettura per i più piccoli: nonostante questo credo che tale opera sia assolutamente degna della nostra attenzione. Le surreali e stranianti vicende in cui Alice incappa senza sosta ci portano così lontano dal nostro mondo, è vero, ma solo apparentemente, infatti molte delle vicende qui narrate possono indurci a riflettere su sulla nostra realtà e su noi stessi attraverso alcuni interrogativi che solo un uomo adulto è capace di recepire, funzione che si riscontra molto più spesso nelle cosiddette “letture più impegnate”.

E’ proprio il nostro mondo, il mondo dei più grandi che viene osservato dagli occhi fantasiosi e spregiudicati di una bambina che assiste incuriosita agli strani riti, agli atti isterici, alle insensatezze e alle stramberie che degli adulti/creature ripetono con ossessiva ottusità. Libro per ragazzi o libro per adulti? Decidetelo voi.

L’insensatezza sembra essere il leitmotiv della storia, il filo conduttore dell’intera vicenda; in “Alice” tutto ciò che è noto, lecito e riconosciuto viene emendato e svelato dallo sguardo privo di pregiudizi di una bambina che mette in luce la natura del tutto arbitraria della realtà che ci circonda, ma non solo: Lewis Carroll -pseudonimo di Charles Lutwidge Dodgson- stravolge anche le stesse leggi della fisica, della geografia e della matematica, nonostante lui fosse uno stimato professore di matematica. Pensiamo al famosissimo episodio della caduta di Alice nella tana del Coniglio Bianco: il lento precipitare della piccola protagonista supera i limiti della gravità, la regola dei 9,81 m/s2 si trasforma da assioma a mera possibilità mentre Londra, da capitale inglese, diviene la capitale di Parigi e, quest’ultima, di Roma. La realtà, per noi unica ed immutabile, qui diviene caleidoscopica, aperta a più vie che nel quotidiano non possono manifestarsi.

Tutto ciò che a noi appare sicuro ed ovvio, nella realtà “altra” perde la sua affidabilità, e non sfugge a questo destino persino l’identità umana, infatti Alice cambia vistosamente statura così spesso da non riuscire a rispondere alla domanda del bruco parlante “E chi sei tu?“; stessa sorte capita all’infante della Duchessa, che diviene un porcellino tra le braccia di Alice: ancora una volta la sicurezza indotta dalle scienze viene annichilita all’interno di questo mondo “apparentemente” distorto e privo di senso. Proseguendo la lettura del libro, infatti, ci rendiamo conto che lo sguardo di Alice non è altro che lo specchio un po’ deformato in una società considerata “civile” ed “evoluta”, una sorta di immagine straniante di una realtà che cova l’insensatezza nel suo ventre. I numerosissimi giochi di parole e i doppi disseminati lungo il viaggio di Alice, per esempio, evidenziano l’assoluta arbitrarietà di uno degli strumenti di comunicazione basilari nella nostra storia: il linguaggio. Per esempio Alice, una volta immersa nel lago di lacrime, si imbatte in un gruppetto di animali che raggiunge poi a riva; tutti quanti sono bagnati ed infreddoliti e il topo presente nella comitiva si propone di asciugarli raccontando una vicenda di Guglielmo il Conquistatore, la storia più “seccante” che conosceva: vediamo come la doppia accezione di “seccante” -che asciuga e noioso- provoca una incongruenza all’interno della vicenda, dato che tutti quanti rimangono bagnati fradici. Altri giochi di parole si riscontrano nel momento in cui Alice fa la conoscenza della Finta Tartaruga, la quale le racconta che il suo maestro veniva chiamato “testuggine” perché dava da leggere dei libri di “testo”: con intelligenza e delicatezza Carroll mostra quanto le parole, in fondo, sappiano essere ambigue e portatrici di fraintendimenti nonostante esse siano la principale forma di comunicazione che noi conosciamo. “Alice” riflette le reali insensatezze che dominano il mondo reale trattando l’estrema arbitrarietà delle leggi umane, regole della società vigente.

Carroll propone con beffarda ironia questo tema nel capitolo in cui la Regina di cuori, i suoi sudditi e Alice danno inizio alla partita di Croquet: nessuno rispetta turni, regole e scadenze, le mazze da croquet sono fenicotteri e gli archi sotto i quali deve passare la palla non sono altro che carte da gioco piegate, tutti i giocatori litigano per ottenere la palla/porcospino e contendersi la vittoria, creando un caos tale da rendere il gioco privo di senso. Non a caso Carroll impiega un gioco di società per parlare del nonsense, infatti tali manifestazioni rappresentano delle occasioni in cui gli adulti si confrontano, condividono e socializzano: ironizzando su queste attività sociali, l’autore sottolinea incompatibilità che vige tra le persone appartenenti ad una stessa comunità, dato che ognuno muta tali regole a seconda dei propri personali interessi.

Non solo la comunicazione e i rituali sociali vengono presi di mira all’interno del testo ma anche la stessa giustizia e l’onestà divengono vittime del vortice dell’insensatezza; ne è un chiaro esempio il processo ordinato dalla Regina per scoprire chi avesse rubato le sue paste: i giuriati sono totalmente incompetenti -tanto da non riuscire a scrivere il proprio nome su una lavagnetta- come lo stesso giudice, il Re, che pretende da loro un verdetto ancor prima dell’inizio del processo e crea sul momento leggi inesistenti per puro piacere e senza consultarsi con altre persone, i testimoni scelti sono inutili perché estranei alla vicenda, infatti nessuno di loro potrà dare informazioni utili per risolvere il caso, mentre le domande a loro rivolte dal giudice sono poco attinenti al caso trattato.

L’innocenza di Alice e il suo buonsenso riescono ad andare oltre a quella sottile coltre di convenzionalità che condanna gli adulti a ripetere schemi considerati corretti solamente perché precostituiti e riconosciuti da tutti: la fantasia infantile riesce ad andare al di là del costume, dei riti, delle condizioni sociali, delle “maschere” che i singoli uomini indossano poiché imposte da un sistema più grande di loro stessi, svelandone il grande vuoto e il ridicolo.

Perciò, ad un’attenta e spregiudicata lettura, questo testo riflette la grande vacuità del mondo che ci circonda e il riscatto dello sguardo fanciullesco, che così spesso viene utilizzato come sinonimo di “superficialità”. Il bambino diviene portatore di una saggezza, educazione ed onestà sconosciute da chi detiene il potere, una saggezza sottile, nascosta, che viene spesso soffocata dal turbinio e dalla sregolatezza del mondo adulto: quest’ultimo, durante la partita a Croquet con la Regina, viene sottilmente definito da Alice “un gioco difficilissimo“, forse perché fondamentalmente privo di senso di fronte all’oscura e magica sapienza dei bambini.

Lewis Carroll, Alice nel Paese delle Meraviglie, Rizzoli- BUR, Milano, 2000, pp. 161, € 4.99.