“Melancholia” di Lav Diaz

Siamo una causa persa

Orizzonti
Nella regione del Mindanao, isola storicamente ostile al governo centrale delle Filippine, Alberta è una prostituta, Rina una suora, Julian un pappone. Ma in realtà tutti e tre sono altro: vecchi rivoluzionari che per un motivo o per un altro cercano di superare tragedie personali e sociali in un Paese con il quale non riusciranno mai a pacificarsi. Sono in fin dei conti tre borghesi che provano disperatamente a re-interpretare una vita differente. La figlia adottiva di Alberta è davvero una prostituta, mentre il suo amato ha continuato a fare il ribelle fino alle estreme conseguenze, fino a perdersi nella giungla braccato da invisibili militari.

Vincitore del premio come miglior film di finzione in Orizzonti a Venezia 65, Melancholia di Lav Diaz è il consueto film-fiume di questo cineasta atipico che necessita di durate espanse (sette ore e mezza!) per riuscire a dipanare con precisione i suoi personaggi e il suo mondo fatto di amarezze e sconfitte.
Melancholia è un affresco impressionante per la complessità e la stratificazione del suo discorso. Assistiamo anzitutto alla vicenda di alcuni intellettuali filippini che hanno abdicato alla loro volontà di cambiare il Paese e che dunque si sono persi in torbide storie personali. Ne emergono dei personaggi sfaccettati e contraddittori, bugiardi e traditori, deboli e disperati, inabili a reinserirsi sanamente nella società che avevano imparato ad odiare e incapaci di riconoscersi in un sistema che li vuole ignoranti e spersonalizzati. In tal senso, il ludico e grottesco tentativo di Julian, Alberta e Rina di provare ad essere altro da sé non può che avere conseguenze tragiche. Ne consegue che Melancholia è una condanna senz’appello dell’intellighenzia borghese filippina la quale, pur di ottundere la propria consapevolezza, ha deciso di annichilirsi tra i reietti della società (e in proposito è paradigmatico il personaggio dello stesso Julian, ex-rivoluzionario, poi scrittore ed editore di professione, ma mezzano per “svago”).

Date queste premesse la nuova opera di Lav Diaz non fatica a farsi epica mortifera di un Paese che non ha mai avuto una vera forma di democrazia e che ha progressivamente perduto ogni desiderio di miglioramento delle proprie condizioni di vita.
Ma Melancholia è anche un ritratto impressionante di un territorio, la regione del Mindanao, essenzialmente inospitale, dove l’uomo è sempre sconfitto dalla natura. La raffigurazione più esplicita l’abbiamo nel momento in cui l’amante di Alberta, Renato, si ritrova in fuga nella giungla, insieme a solo altri due combattenti. I tre, inseguiti da dei militari che non appaiono mai in scena, alla fine si arrendono alla vegetazione, alla sua crudele indifferenza, che li travolge e li fa impazzire. I loro corpi verranno poi sepolti da una tribù di nativi, probabilmente gli unici a potersi permettere di abitare quei luoghi.

Detto ciò non va comunque taciuto che Melancholia è non solo un racconto pressoché perfetto nella sua durata sconfinata ma è soprattutto uno straordinario saggio di regia cinematografica, in cui ancora una volta Lav Diaz dimostra di essere forse l’unico cineasta contemporaneo capace di restituirci – in una temporalità pressoché “reale”, con l’ausilio di una semplice videocamera e senza aver bisogno di movimenti di macchina – sia le drammatiche “intermittenze del cuore” dei suoi personaggi che le esternazioni più feroci della natura (la pioggia è tra le protagoniste del lungometraggio, una pioggia scrosciante e violentissima, segno tangibile dell’ostilità della “materia” nei confronti dell’uomo).

Titolo originale: Melancholia
Nazione: Filippine
Anno: 2008
Genere: Drammatico
Durata: 450’
Regia: Lav Diaz
Produzione: Sine Olivia Pilipinas
Distributore internazionale: Sine Olivia Pilipinas