Concorso
“Intrigo a Berlino” è la trasposizione cinematografica di una novella di Joseph Kanon. Durante la Seconda Guerra Mondiale, un giornalista americano viene inviato a Berlino. Durante il suo soggiorno, un soldato americano viene ucciso. Da quel momento, la ricerca del suo antico amore e quella delle cause dell’omicidio sembrano prendere lo stesso percorso.
Dopo i giochi sperimentali e post-moderni di Bubble, il regista Steven Soderbergh fa un vero e proprio salto temporale catapultandoci nella Germania post-nazista dove il noir si mischia al thriller e alla love-story.
Questa macchina del tempo non si limita semplicemente alla sceneggiatura ma si estende soprattutto allo stile.
La pellicola è un palese omaggio ai classici americani degli anni Quaranta e Cinquanta. Non c’è semplicemente l’uso del bianco e nero. In un modo elegante ma nello stesso furbo, il regista di Traffic si è servito di lenti particolari per ottenere la giusta dose di luce. Ha raccolto diverso materiale d’archivio storico per fondere la finzione della storia con l’atmosfera reale dell’epoca. Ha utilizzato, grazie all’abilità del compositore Thomas Newman, sonorità tipiche di quegli anni. Dettaglio non meno importante, la ricostruzione dei luoghi all’interno di veri e propri “studios”.
Soderbergh ha investito molto della suo tempo anche per la sfera recitativa preferendo una componente teatrale più che cinematografica. Osservando le performance di George Clooney e Cate Blanchett siamo di fronte a qualcosa di molto diverso rispetto alle interpretazioni di oggi. Entrambi gli attori hanno lavorato come se avessero costantemente la macchina di fronte non sforzandosi di catturare continuamente l’attenzione della stessa. Il lavoro attoriale ha eliminato le componenti introspettive e autoriflessive privilegiando quelle “esteriori”, di superficie. In particolare, il ruolo di Clooney sembra essere stato ritagliato sulla sua figura. Come se assorbisse la complessità morale del difficile momento storico. Le sue componenti umane e professionali emergono simultaneamente: il coraggio, l’ntelligenza, lo spirito critico, l’energia.
Rientrando in pieno nel genere “murder mysteries”, non possiamo non riconoscere la difficoltà (di regia e sceneggiatura) di gestire le informazioni della storia distribuendole nella maniera opportuna. La preoccupazione maggiore sta nel non rivelare troppo o troppo poco. In questo ambito, fondamentali risultano essere il “quando” e il “come”. Non sempre Soderbergh riesce a sciogliere l’intricato compito. Nonostante la pellicola goda di un buon ritmo, che facilita il passaggio del “punto di vista” da un personaggio all’altro, la risoluzione dell’intrigo sembra concentrarsi nella parte finale senza aver seminato nella prima indizi, dettagli o semplici finezze che avrebbero indotto nello spettatore un più alto senso di curiosità e attenzione. La pellicola, riconosciute le buone doti stilistiche, risulta imperfetta e incompleta. Non solo per non aver saputo “maneggiare con cura” il genere in questione, ma soprattutto per aver dato troppa attenzione e manierismo ad aspetti secondari e di puro esercizio.
Titolo originale: The good german
Nazione: U.S.A.
Anno: 2006
Genere: Drammatico, Thriller
Durata: 108′
Regia: Steven Soderbergh
Cast: George Clooney, Cate Blanchett, Tobey Maguire, Leland Orser, Tony Curran, Beau Bridges, Robin Weigert, Dave Power
Produzione: Sunset-Gowers Studios, Warner Bros. Pictures, Section Eight Ltd., Virtual Studios
Distribuzione: Warner Bros
Data di uscita: 02 Marzo 2007 (cinema)