“La Ciociara” di Annibale Ruccello

"e tutto è morto, e tutto è ancor vivo, e solamente tutto è cambiato"

Quella messa in scena da Roberta Torre sul testo di Annibale Ruccello è una Ciociara meno realista e più onirica, e si dipana nel tempo fino a giungere ai nostri giorni, mostrando la triste evoluzione di Cesira e Rosetta dopo gli anni della guerra.

La storia dell’esilio forzato di Cesira e Rosetta è nota: della loro fuga da Roma sotto i bombardamenti e di come siano riuscite a sopravvivere, per tutta la durata della guerra, quasi ignare delle violenze che si stavano compiendo finché non ne sono state loro stesse vittime, simboli inconsapevoli dello stupro di un intero Paese.

Se il capolavoro di De Sica termina lasciando le due donne che si ricongiungono, in lacrime, alla notizia della morte di Michele, il testo di Ruccello guarda avanti negli anni, e le mostra ben salde nella loro acquisita borghesia. Il passato sembra ormai dimenticato, così come scordato pare essere il rapporto di profondo affetto che le univa. Inizia al presente, la storia: Rosetta è sposata e assilla Cesira con richieste di denaro; la infastidisce a tal punto che Cesira si lascia scappare parole che potrebbero ferire, la accusa di essere diventata una mignotta; ma Rosetta ormai non si cura più di ciò che le dice la madre, e le risponde con insofferenza e disprezzo.
Inizia quindi quello che sembra un lungo flashback, introdotto dall’entrata in scena di Michele, cui Cesira parla come se fosse ancora vivo, come se fosse lì con lei. E gli ricorda quella frase, quasi una maledizione, che lui ha urlato una sera: «Siete tutti morti»; allora lei non aveva capito cosa intendesse, ma ora le è chiaro il significato: in quella guerra è morta lei, è morta sua figlia, sono morti i loro sentimenti e i loro valori. Il racconto della loro vita da sfollate prosegue a episodi, il cui inizio e la cui fine sono nettamente marcati dallo spegnersi delle luci e dalla proiezione, su uno schermo che chiude il palco, di immagini; pioggia, nebbia, foglie che cadono contribuiscono a separare distintamente gli episodi e a inquadrare lo spettacolo quasi a livello cinematografico.

Se da una parte la struttura a segmenti toglie fluidità al racconto, dall’altra invece sembra esaltare la sua universalità, quasi lo astraesse dal “dove” e “quando” ben precisi che lo caratterizzano e lo trasportasse a un livello superiore. Le interpretazioni, però, sono al di sotto delle valide scelte registiche; se Donatella Finocchiaro e Martina Galletta riescono a interpretare una Cesira e una Rosetta credibili, gli altri personaggi stentano a convincere, sono eccessivi nel loro tentativo di risultare veraci – come Rocco Capraro nel ruolo di Clorindo, camionista mellifluo e fintamente gioviale – o nell’inspiegabile scelta di mostrarsi mistici – come Dalia Frediani, che quando batte il bastone sul palco e parla in falsetto ricorda più una strega o una veggente che non una contadina ciociara.

Il testo offre senz’altro degli spunti di riflessione interessanti: in che modo la violenza subita ha modificato le due protagoniste? E in che modo il loro rapporto è mutato negli anni, proprio in funzione di quella violenza che sembra invece dimenticata, seppellita sotto i beni di consumo che hanno riempito le loro vite? Con dispiacere si è costretti ad ammettere che lo spettacolo non risponde appieno a queste domande.

LA CIOCIARA di Annibale Ruccello
Tratto dal romanzo omonimo di Alberto Moravia
Regia Roberta Torre – costumi Mariano Tufano – musiche Massimiliano Pace
Con: Donatella Finocchiaro, Martina Galletta, Daniele Russo, Lorenzo Acquaviva, Dalia Frediani, Rocco Capraro, Rino Di Martino, Marcello Romolo, Liborio Natali
Durata 1 ora e 45 minuti
Teatro Goldoni
www.teatrostabileveneto.it