“Los Herederos” di Eugenio Polgovsky

Piccolo mondo troppo antico

Orizzonti
Piccole spalle che trasportano pesi enormi, mani minuscole che lavorano il legno, tessono lenzuola e tappeti o lasciano la loro impronta sulla pasta di mais da trasformare in tortillas. Queste sono alcune delle immagini forti con cui è dipinto il Messico di Los Herederos, documentario di Eugenio Polgovsky dedicato alla condizione di inaccettabile povertà in cui versano intere popolazioni del paese sudamericano.

Proprio lì, dove i paesaggi sono più belli e incontaminati e dove la natura non appare ancora devastata dalla civiltà, si nasconde un microcosmo ripiegato su se stesso, che rifugge allo sguardo incredulo delle società ormai lontane anni luce dall’economia di sussistenza e dalle sue implicazioni, tra cui l’impiego minorile nelle industrie e nei mestieri di base. In questo universo parallello, sembra quasi normale che i bambini lavorino come gli adulti, o magari perfino meglio, senza rinunciare all’allegria e alla spensieratezza inevitabilmente negate ai loro genitori, impegnati nella quotidiana lotta contro la miseria. Nonostante i loro sguardi intensi e i sorrisi genuini, però, c’è qualcosa in questa fanciullezza perduta che continua a turbare e angosciare, una specie di assilante sentore che al posto del rumore dei telai e delle scavatrici, i bambini dovrebbero sentire la musica di una giostra.

Non sembra avere dubbi a tal proposito Eugenio Polgovsky: per quanto si possa osservare con distacco e neutralità il mondo dei villaggi e delle genti rurali del Messico, non si può non soccombere a questa soverchiante impressione di privazione ed iniquità, di cui i volti e i corpi dei piccoli lavoratori, inseguiti dalla macchina da presa, diventano il vessillo più triste. In un documentario improntato al massimo realsimo, privo di interviste o dialoghi e depurato da ogni traccia filmica delle intenzioni del suo autore, il montaggio interviene come riordinatore silenzioso per suggeire quanto di sbagliato ci sia in questo piccolo mondo arcaico.

Il giudizio viene espresso in modo poco invasivo (volendo sibillinno) attraverso l’emersione di alcune immagini stridenti o sconvolgenti, su cui ci si dilunga per attirare l’attenzione. Si tratta di particolari apparentemente insignificanti, come un ragazzino con le scarpe totalmente sfondate o un altro che ferma le sue ferite con il nastro adesivo, ma a ben guardare suppliscono alla mancanza della narratività, fornendo i punti cardine per un discorso complessivo piuttosto chiaro.

A suggerire il senso finale di questa indagine cinematografica, in particolare, è il montaggio alternato dei volti dei bambini al lavoro (magari un po’ imbronciati ma sempre pieni di energia) e quelli delle anziane del villaggio: facce deformate dalla consuetudine del tempo e svuotate da ogni anelito di vita, come se una spirale infinita avvolgesse le alture abitate dalle popolazioni messicane più povere, condannandole alla stasi e alla miseria perpetua. Un documentario, dunque, che cerca di sferrare un pugno in una carezza, affidandosi al potere suggestivo dei mezzi cinematografici per insinuare (a costo di una certa piattezza espostivia) un senso intimo, piuttosto che pietistico, di urgenza e di preoccupazzione per ciò che succede ai margini dello sguardo distratto della civiltà.

Titolo originale: Los Herederos
Nazione: Messico
Anno: 2008
Genere: Documentario
Durata: 90′
Regia: Eugenio Polgovsky

Data di uscita: Venezia 2008