“The path to 9/11” – “11 settembre – Tragedia annunciata” di David L. Cunningham

In onda su Sky la controversa miniserie TV americana sull'11 Settembre

Prodotta dalla ABC, costata 30 milioni di dollari e girata in tre nazioni, “The path to 9/11” è una miniserie che ricostruisce gli eventi che hanno portato all’attentato del World Trade Center. Dopo essere stata trasmessa lo scorso settembre negli Stati Uniti, è appena passata sugli schermi di Sky Cinema 1 con il titolo “11 settembre – Tragedia annunciata”. Questo docu-drama di oltre quattro ore ricostruisce, sulla base di varie fonti tra cui la relazione della Commissione 9/11 (indipendente e bipartisan), gli otto anni precedenti all’attentato, caratterizzati da numerosi attacchi di Osama bin Laden agli Stati Uniti e da una sottovalutazione della minaccia da parte della Casa Bianca e dell’amministrazione Clinton impegnata a far fronte al “sexgate”.

Se Fahrenheit 9/11 prendeva di mira l’amministrazione Bush e faceva la gioia dei democratici, The path to 9/11 accusa Clinton e fa la gioia dei repubblicani. Il documentario di Michael Moore, vincendo la Palma d’oro a Cannes, ha spaccato l’opinione pubblica mondiale; questa fiction, girata da David L. Cunningham, ha diviso l’America.
Al di là della trattazione dei fatti, ciò che ci spinge a riflettere riguardo la messa in scena di ferite ancora aperte, è il cammino della verità che in essa si compie.

Julio Cabrera, docente di filosofia all’università di Brasilia, nel suo libro Da Aristotele a Spielberg – Capire la filosofia attraverso il film, analizza, tra gli altri, il legame tra pensiero, politica e cinema impegnato. I due registi che si confrontano con le teorie di Karl Marx sono Konstatin Costa-Gavras e Oliver Stone. Quest’ultimo, che da teorico della cospirazione si è trasformato nel suo ultimo film (World Trade Center) in un intimista orchestratore di emozioni proprio sotto le macerie delle due torri. Il problema che si ripropone ogni volta che la messa in scena coincide con la storia è la tendenziosità. Il documentario, una volta garante di un’obiettività super partes, ora affonda le proprie tesi come unghie nell’opinione pubblica e romanza i fatti senza pensare che l’obiettività è uno strumento che male viene applicato dallo spettatore. In apertura e in calce, The path to 9/11 sottolinea che quello ci apprestiamo a guardare e che abbiamo appena guardato non è un documentario, che sono state romanzate parti delle fonti per adattarle all’esigenza narrativa. Appunto. All’esigenza narrativa. Qui ci viene d’aiuto il pensiero di Cabrera. Due le domande fondamentali: una s’interroga sull’obiettività politica, l’altra si domanda quanta verità una società può sopportare. Riprendendo una frase del film di Francesco Rosi, Cadaveri eccellenti si dice che “la verità non sempre è rivoluzionaria”. Allora si cominciano a profilare ipotesi che vogliono persuadere e non far avanzare cognitivamente. La carica cognitiva, la principale per accedere alla verità, viene rimpiazzata dai toni persuasivi e espressivi che ben si adattano sia alla versione democratica che repubblicana della stessa tragedia. Essa è stata piegata più volte alle esigenze dispiegate nei vari documentari. Non ci possiamo chiedere se The path to 9/11 sia onesto né tanto meno possiamo chiederci se può piacere.

Siamo di fronte al concettoimmagine (come lo chiama Cabrera) dell’Impegno. Nel cinema impegnato, come viene utilizzata la paticità dell’immagine? Si è ancora orientati verso la verità, o l’emozione modifica in modo rilevante la conoscenza?
Le quattro e più ore della miniserie milionaria prodotta dalla Abc (ma vale anche per la sua nemesi, Michael Moore) sono un esercizio retorico, persuasivo, per nulla logico. Tutto il linguaggio è al servizio di un’idea, l’impositività delle immagini non cerca una appropriazione intellettuale del mondo, ma cerca deliberatamente di persuadere. Ma, allora, è possibile fare del cinema politico in maniera cognitiva o scientifica? È possibile fare politica in altro modo? O la politica è ormai del tutto separata della verità e dalla logica? Il basarsi su una tragedia reale, il riferimento a nomi e cognomi (su tutti Madeleine Albright, Segretario di Stato nell’era Clinton, e il Consigliere per la Sicurezza Nazionale Sandy Berger che ne escono fatti a pezzi) e l’inserimento in questa carne ancora viva di elementi distorti e mezze verità, crea un cortocircuito pericolosissimo che viene sfruttato per incrementare il manicheismo delle tesi. Ecco che Cabrera parla di atteggiamento marxiano: prima c’è la verità storica, e successivamente c’è la sua imposizione persuasiva e retorica. Perché la verità non sempre è rivoluzionaria.