Da ormai molti anni il Teatrino Giullare, fondato da Giulia dall’Ongaro ed Enrico Deotti nel 1995, è una delle realtà più originali e interessanti delle scene italiane. La loro poetica, basata essenzialmente (ma non esclusivamente) su «attori artificiali», sfugge alle definizioni convenzionali per dare vita a un percorso personale che coniuga una tecnica raffinatissima e un altrettanto forte impatto emotivo. Un altro elemento distintivo è il loro geniale e innovativo approccio alla drammaturgia contemporanea, che, soprattutto dal 2005 in poi, dà vita a inedite e illuminanti versioni di testi di Beckett, Bernhard, Koltès, Pinter ed Elfriede Jelinek, per citarne solo alcuni. Il loro nuovo lavoro, Menelao di Davide Carnevali, dopo il debutto il 16 febbraio del 2019 all’Arena del Sole di Bologna nell’ambito del festival Vie, avrebbe dovuto andare in scena lo scorso 23 aprile al Teatro universitario di Ca’ Foscari, chiudendo la fortunata rassegna «la via maestra – ricomporre il presente». Nell’impossibilità di allestire lo spettacolo, l’Ateneo veneziano ha chiesto alla compagnia di realizzare con gli studenti un laboratorio ‘a distanza’: Enrico Deotti racconta le premesse e gli esiti di quest’ultimo, che per il grande numero di adesioni, dopo la prima edizione, tra aprile e maggio, è stato replicato una seconda volta alla fine di maggio.
Tutto è nato dal fatto che noi, in coproduzione con l’Ert, abbiamo messo per la prima volta in scena Menelao di Davide Carnevali, collaborando e confrontandoci con l’autore durante tutto il percorso che ha portato fino al debutto. Anche per questo è stato un lavoro particolarmente interessante, e lo spettacolo che ha visto la luce nel 2019 al Festival Vie è andato molto bene, ma purtroppo le repliche del 2020, per ovvi motivi, sono state tutte annullate. Quando Donatella Ventimiglia, curatrice del programma del Teatro Ca’ Foscari, ci aveva invitato a portarlo a Venezia nell’aprile 2020, ci aveva chiesto di accompagnare lo spettacolo con un laboratorio destinato agli studenti, avevamo già pensato di indagare con loro il tema della felicità. Menelao, il protagonista del testo di Carnevali, vive infatti questo problema (un problema che a ben guardare tocca da vicino l’uomo contemporaneo): possiede tutto, è il re di Sparta, è uno degli uomini più ricchi del mondo, ha sposato Elena, la donna più bella del mondo, ha appena vinto la guerra di Troia, non ha alcuna preoccupazione eppure non è felice e si interroga sulla sua infelicità. Questo è stato quindi il punto di partenza, lavorare sulla felicità. Ovviamente, con gli studenti presenti a teatro, avremmo avuto un approccio in parte teorico e in parte fisico-pratico. Dato che questo non è stato possibile, ci siamo interrogati su come realizzare un progetto ‘a distanza’, senza però rinunciare al fatto che fosse un laboratorio vero e proprio, e che quindi i ragazzi potessero partecipare davvero. Quindi abbiamo fissato un numero massimo di dodici partecipanti, per avere modo di interagire con loro, e abbiamo iniziato a lavorare chiedendo anche il loro contributo. Si è poi inserito un altro elemento: in concomitanza con l’arrivo della pandemia e della conseguente chiusura dei teatri, in vista di progetti futuri stavamo iniziando ad analizzare Giorni felici di Beckett. E avevamo trovato delle forti analogie tra alcune delle battute di quella pièce e la situazione che si stava vivendo in quel momento. Sentendo dunque la necessità di esprimere in qualche modo queste analogie, ma non potendo farlo in teatro, com’era nostra intenzione, abbiamo ideato dei piccoli video, da cui è poi nato il nostro Diario dei giorni felici (che si può ancora gustare al link https://teatrinogiullare.com/diario-dei-giorni-felici/, ndr.). Tutto quello che succedeva in quei giorni entrava nelle battute di Beckett, che venivano restituite in una forma diversa e proprio in virtù di quel contesto straniante assumevano un significato particolare. Impossibilitati a svolgere il laboratorio in presenza, abbiamo pensato allora di partire da Menelao e arrivare a ritroso a Giorni felici, perché anche Beckett tratta in qualche modo della questione della felicità. Questi sono quindi i due poli che abbiamo presentato ai ragazzi: da una parte la ricerca della felicità di Menelao, e dall’altra quella di Winnie, che tenta di convincersi che quelli che vive sono giorni felici anche se non può muoversi e non può fare quasi nulla. Esattamente come accadeva a noi, che eravamo bloccati in una situazione di stallo che ci impediva di agire. Abbiamo così intitolato «La ricerca della felicità» il percorso con gli studenti, ricevendo moltissime adesioni, tanto che l’università ha dovuto raddoppiare la posta e proporre due cicli invece che uno soltanto. Questa è stata una bella sorpresa, e credo abbia avuto a che fare anche con la situazione che tutti stavamo vivendo, nella quale si era probabilmente più portati a ragionare sulla felicità come stato d’animo o condizione. Con i ragazzi abbiamo lavorato prima sui due testi, dunque sui confronti drammaturgici, e poi sulla loro idea di felicità, fino ad arrivare alla stesura di un piccolo testo da parte di ciascuno, che riflettesse in qualche modo la loro sensazione del momento in rapporto a questo sentimento. Dal punto di vista teorico ci siamo un po’ arricchiti con alcune riflessioni di Zygmun Bauman, che ha trattato approfonditamente l’argomento varie volte. E devo dire che i risultati sono stati eccellenti.
Quali sono stati gli esiti più rilevanti, e dove si sono indirizzati i ragazzi nella loro scrittura? Cosa intendono per felicità?
C’è chi la percepisce principalmente dal punto di vista fisiologico, come soddisfazione di certi bisogni primari, chi la vede in un’ottica più sociologica, nel rapporto con gli altri, chi in relazione al desiderio e nel conflitto con la materialità del desiderio, perché viviamo in una società in cui ci vengono fatti desiderare degli oggetti, però appena li otteniamo subito l’asticella viene spostata più in alto e siamo condizionati a desiderare qualcos’altro. Quindi non riusciamo mai a raggiungere la felicità. Chi ancora la ritrova nelle emozioni e nei sentimenti, nell’appagamento sentimentale o nei rapporti di amicizia.
La figura di Menelao, re vincente e infelice, che spunti ha fornito al laboratorio?
Sono emersi due punti di vista. Il primo riguarda l’aspetto in un certo senso più ‘materiale’: siamo in una società che ci spinge a possedere molto, ma questo non garantisce la felicità. Questa considerazione ha spinto molti a esprimere una posizione critica verso il consumismo. L’altro aspetto che ha più toccato i partecipanti riguarda il personaggio di Menelao nell’interpretazione che ne dà Carnevali: è un uomo che cerca la gloria, che vuole essere considerato al pari degli altri protagonisti dell’epica. A cominciare dal fratello Agamennone, tutti i guerrieri che parteciparono alla guerra di Troia sono celebrati come eroi, mentre lui, nei vari racconti delle gesta, rimane in secondo piano. E dato che nessuno ha composto una tragedia su di lui, tenta lui stesso di scriverla per tramandare ai posteri quello che ha fatto. Ha l’ossessione di scriversi il suo proprio libro per diventare famoso come gli altri.
E Giorni felici, invece, che riflessioni ha indotto?
Mi è sembrato che la situazione di stallo di Winnie e quella più in generale di tutti noi nel periodo della pandemia spingesse ciascuno a cercare ulteriori risorse per fare qualcosa, risorse che poi ognuno ritrova a modo suo e seguendo la sua strada. Come dice Winnie, c’è così poco da fare che si fa quello che si può…