“Le ultime cose” di Irene Dionisio

L’Italia del terzo millennio affonda sotto il peso della rinascita dei Monti dei Pegni. A Torino, in uno di questi centri di strozzinaggio autorizzati, si incontra un’umanità sfinita, precaria e avvilita. Storie di esistenze ai margini si incrociano nel tritacarne della povertà e del ricatto economico che i banchi dei pegni ben rappresentano. E’ quello che resta degli ultimi: pensionati impoveriti, immigrati, famiglie senza un reddito fisso, emarginati da una società che non si ferma ad aspettare.

Tre vicende scandiscono il girone infernale di chi ormai non ha quasi più niente da perdere, se non quella dignità che così ostinatamente resta attaccata anche a chi è stata tolta quasi ogni speranza. Michele ha bisogno di soldi per comprare un apparecchio acustico al nipotino, la giovane trans Sandra impegna una pelliccia per pagarsi un alloggio di quart’ordine e il neoassunto al Banco Stefano combatte con la sua coscienza una volta entrato nei meccanismi perversi del monte dei pegni.

La giovanissima Irene Dionisio presenta Le ultime cose alla Settimana della Critica della Mostra del Cinema di Venezia 2016. Lo fa con la passione e l’impegno civile di chi non vuole solo raccontare una storia, ma anche parlare del paese in cui molti giovani come lei si ritrovano a vivere. E un banco dei pegni offre la metafora perfetta per identificare lo sfruttamento perpetuo e infinito di chi non ha la forza – e sono sempre di più – di sottrarsi a questo circolo vizioso. Gli ultimi saranno gli ultimi, insomma.

Alla denuncia sociale e alla forza del tema non corrisponde però – purtroppo – un’altrettanto solida struttura del film che soffre della pretestuosità delle storie, troppo didascaliche per integrarsi tra loro senza forzature. Ciò non toglie il coraggio dell’autrice nell’affrontare con originalità tematiche così importanti.

Cosa resta alla fine, quando tutto quello a cui teniamo rischia di sgretolarsi sotto il peso della crisi? Le ultime cose a cui rinunciamo non sono quelle, materiali, che possiamo affidare a un banco di pegni. Quello che realmente – poco a poco – ci viene portato via, come ai protagonisti di questo film, non riusciremo mai ad averlo indietro.