Frankie è una ventenne che vive a Los Angeles e vorrebbe dedicare la sua vita all’arte. Per sbarcare il lunario, tuttavia, è costretta a lavorare in un bar insieme al suo amico Jake. Un giorno, per strada, filma Link, un bizzarro ragazzo che sta distribuendo degli assaggi di formaggio vestito da topo. Vedendosi filmato, il ragazzo abbandona il suo compito e comincia a fermare i passanti, criticandone lo stile di vita consumistico. Frankie posta il video online, ottenendo un record di visualizzazioni. Decide così di continuare a filmare Link: il successo “social” non tarda ad arrivare, ma nemmeno i problemi.

La critica alla cultura della celebrità e dell’apparire è uno dei temi più trattati dalla cinematografia mondiale, e statunitense in particolare: da grandi classici come Quinto Potere al più recente Vox Lux, passato alla Mostra del Cinema nel 2018, i titoli abbondano. Difficile, quindi, dire qualcosa di nuovo in un panorama così affollato. Gia Coppola, al suo secondo lavoro da regista, ha il merito di provare a usare il linguaggio dei social media anche nella realizzazione del film, donandogli quindi una certa originalità espressiva. Il film è quindi infarcito di musiche pop, estetica hipsteremoji, ed effetti glitterati, come se fosse una versione estesa di un video YouTube o di una diretta Instagram. La commistione di linguaggi è riuscita e ben gestita, e risulta fastidiosa solo quando la regista vuole che lo sia.

Il film, tuttavia, risulta già visto. Intrattiene, ma non riesce a coinvolgere, né a spingere a riflessioni che non siano già state fatte in precedenza. L’unica sorpresa è la prova eccellente di Andrew Garfield, perfetto nella parte di un “predicatore” da social che sembra snobbare la celebrità ma in realtà la brama con ogni fibra del suo essere. Il suo atteggiamento si muove sempre in equilibrio tra un anticonformismo reale e uno studiato cinismo, e fa del suo personaggio un paradosso odioso e deprecabile, eppure in qualche modo intrigante, un serpente incantatore da cui non si riescono a staccare gli occhi nonostante ci si renda conto della sua pericolosità e grettezza morale.

Dopo Palo AltoGia Coppola dimostra ancora una certa sensibilità nel raccontare le ansie e il desiderio di realizzazione di una generazione che, ancora prima delle precedenti, ha delegato la definizione del proprio valore a ciò che pensano gli altri, al numero di follower, al numero di “mi piace” ricevuti. Tuttavia, questa appare solo come un’ennesima declinazione della “società dell’apparire” di cui si parla da decenni, e di cui la deriva social sembra soltanto una versione più estrema, dai ritmi più rapidi, e con una co-dipendenza tra attore e spettatori ancora più stretta: troppo poco, forse, per parlare di originalità.