Il terzo lungometraggio di Claudio Noce (Good Morning Aman, La foresta di ghiaccio) riguarda qualcosa di molto personale e intimo. “Nel dicembre del 1976, quando mio Padre subì l’attentato, io avevo un anno e mezzo: abbastanza per comprendere la paura, troppo pochi per capire che quell’affanno avrebbe abitato dentro di me per molto tempo. Non sono mai riuscito a dirglielo.”
È necessario avere queste poche nozioni di base prima della visione di Padrenostro, per riuscire a farsi largo all’interno di un linguaggio cinematografico che vuole porsi come realistico e allo stesso tempo visionario.
Padrenostro racconta gli Anni di Piombo dal punto di vista di un figlio della vittima.
Valerio ha dieci anni, con energia e fantasia da vendere è comunque un bambino solitario. Ha una sorella più piccola, la madre è casalinga e il padre, tanto venerato, fa il magistrato.
La storia è ambientata a Roma nel 1976. La famiglia di Valerio viene investita dal terrorismo di quel periodo.
Una mattina, uscendo di casa, Alfonso, il padre del protagonista, subisce un attentato da parte di un commando. Si salva, ma la vita di tutti cambia. Soprattutto quella di Valerio che ha assistito all’attacco.
10 anni sono pochi, anche se a volte una vita intera non basta, a razionalizzare certi tragici avvenimenti. In quei giorni di sospensione, quando tutto gli è precluso, anche accendere la tv (la madre ha chiuso a chiave la porta del salotto), conosce Christian, un ragazzino poco più grande di lui.
I due giovanotti si trovano bene a giocare, e compiono qualche scorribanda insieme; sembrerebbe che Valerio, che soffre in silenzio, che teme non solo quello che è successo, ma che potrebbe succedere, finalmente abbia trovato qualcuno con cui divertirsi, qualcuno che lo capisce.
Ma quando i genitori scoprono da alcuni disegni di Valerio, che non dormiva, ma era sveglio quando hanno sparato al padre, decidono di partire per una vacanza in Calabria a casa dei genitori di Alfonso. Qui Valerio ritrova Christian, ma nella loro amicizia affiorano alcune ombre.
La realtà, il quotidiano, vissuta negli anni dal regista si aggancia a un’immaginazione, a una proiezione di lui in un bambino di dieci anni.
Il risultato è piuttosto debole perché questa convivenza senza argini tra finzione e “cronaca” (dove comunque la ricostruzione dell’attentato è esagerata nella sua funzione scenica) penalizza la sostanza narrativa.
Ottimo il cast e anche ben diretto. Ma questo non basta.
Padrenostro è un dramma che non riesce a uscire dalla sfera personale e arrivare a catturare la suggestione del pubblico.