All the World’s Futures – La Biennale Arti Visive 2015

Okwui Enwezor presenta la 56. Esposizione Internazionale d'Arte

VENEZIA – Cà Giustinian, l’antico palazzo veneziano nel cuore della città ha accolto i rappresentanti dei 53 Paesi partecipanti alla 56. Esposizione Internazionale d’Arte veneziana. Curatore di questa edizione è Okwui Enwezor che ha illustrato, in modo dettagliato ed entusiasta, il suo progetto.

Continuando una tendenza ormai solidificata di mischiare i generi andando oltre le secolari divisioni scandite fra architettura, cinema danza musica teatro e creando continui scambi. Così se in una Biennale Musica, la scena più che da strumenti ed orchestrali, era dominata da un mimo ipnotizzatore inconsapevole con le alternanze di lunghi silenzi e immobilità e di scatti improvvisi, nella Biennale Arte entra la filosofia, l’angoscia e il dubbio kirkegaardiano sui vari perché dell’esistenza, sui fini dell’uomo sui suoi destini eterni, offrendo al tempo stesso suggerimenti e spunti per capirla e annientarla.

Così All the Word’s Futures è un florilegio di suggestioni per scrittori, cineasti, compositori desiderosi di cogliere e raccontare con le loro opere lo stato attuale delle cose. Una conseguenza di questa scelta è che al posto di un unico tema ci si trova di fronte a uno “strato di filtri contrapposti” come ha più volte ripetuto il curatore nel presentarla al pubblico di giornalisti e critici. Non una rottura ma una continuità con il percorso storico delle varie biennali. La pluralità di voci è ispirata in modo tale da costituire una risonanza armonica delle 82 voci del complesso di Paesi partecipanti. E’ una gara mondiale per accappararsi gli spazi di uno degli 82 padiglioni, numero enorme e in continua crescita ma, a testimonianza del prestigio che la manifestazione ha nel mondo, ancora insufficienti. Più che mai decisa a non farsi confinare nei convenzionali modelli espositivi, questa Biennale intende esplorare i cambiamenti di un mondo in continua evoluzione, e lo fa richiamandosi ad un testo sacro per alcuni, all’indice per altri, cioè Il Capitale di Marx, nome un po’ fuori luogo in un contesto artistico ma ormai accettato in questo melting pot di generi. Ad essere messa in discussione è “l’apparenza delle cose” coinvolgendo il pubblico in questa impresa.

Il Presidente Paolo Baratta ricorda come venisse in un primo tempo criticata la decisione di organizzare la mostra per padiglioni, ma una volta ancora l’idea si è dimostrata vincente e ne è una conferma l’orgoglio di piccole nazioni nei loro modesti spazi espositivi cercare spesso visibilità e aiuto per uscire da climi politicamente soffocanti, alla ricerca della libertà di pensiero e di espressione. Più che il plauso di pubblico e critici Baratta sembra intenzionato a fare emergere nuovi talenti che valorizzati possono offrire validi contributi al cammino dell’arte. Enti ed Istituzioni internazionali propongono in varie sedi anche lontane dai padiglioni e sparse per la città, eventi collaterali ad integrazione con quelli ospitati ai giardini. Dalla Corea, al Giappone, dall’India all’Australia, chi abbia avuto la possibilità di intervenire, se ne tornerà a casa fiero di potere dire: “Venezia, la sua Biennale? Ebbene io c’ero”.