“CLOTURE DE L’AMOUR” DI PASCAL RAMBERT

Urlo di fine amore

Lo spettacolo originale Clôture de l’amour è stato presentato al Teatro delle Passioni durante il festival Vie, nel maggio scorso. Martedì 6 novembre, nello stesso teatro, è stato presentato per la prima volta nella sua versione italiana riadattata per i nuovi interpreti.

A dominare la scena i due unici protagonisti dell’opera un uomo e una donna catturati nel momento della separazione; l’ora dello sfogo e del regolamento dei conti.
Il primo a parlare è Luca, ne avrà da dire per i successivi quarantacinque minuti. Nel suo monologo interminabile mischia la stanchezza di portare avanti un rapporto logoro con una disillusione più generale verso il mito dell’amore, verso l’affannosa ricerca di una vita “tutta rosa e fiori”.
Lo sfogo, chiaramente, assume svariati toni e colorazioni nel suo lungo sviluppo così che il paragone con un’opera musicale sembra appropriato malgrado il regista/drammaturgo rifiuti il parallelismo.

Un monologo così lungo ha necessariamente diverse sfaccettature. E’ precisamente un conglomerato composto di: lunghe digressioni – che possono prendere spunto da una parola insignificante per trarne conclusioni di valore universale; vivide allegorie, la più utilizzata mette in relazione la separazione di una coppia con una guerra napoleonica, una guerra di baionetta; sarcasmi sull’amore e sugli innamorati; continui riferimenti alla corporeità, affascinante come le parole diano l’impressione di restituire direttamente le sensazioni corporali, come la rabbia, la disillusione sembrino più uno stato fisico che mentale che ha modo di esprimersi attraverso un linguaggio viscerale, profondo, infarcito di anglismi e cultura pop, totale, in grado di unire riferimenti colti a stilemi gergali, da trivio.
Il testo è più letteratura che teatro e rischia troppe volte di allontanarsi dal tema di origine (la separazione), da qui la necessità – a mio parere un po’ forzata – di richiamare con insistenza il nome dell'(ex) amata (“non è vero, Anna?”, “non ti muovere Anna”, “non piangere Anna”) e di creare un implicito collegamento con il pubblico, anche questo accorgimento troppo reiterato (“Se fossimo a teatro…”, “Se ci fossero degli amanti ad ascoltarci…”).

Ad ogni modo al primo lungo monologo segue uno intervallo diciamo di “alleggerimento”: un coro di voci bianche intona una canzoncina per bambini, e poi si riprende, via al secondo round: la risposta di Anna a Luca. Speculare, dura altri quarantacinque minuti, questa volta molto più pesanti dei primi; Anna riprende passo passo tutte le accuse che Luca le ha mosso, e risponde, una ad una; Lo spettatore perde un po’ di concentrazione: anche un’ora e mezza di nervi tesi e cattiverie riescono ad annoiare. Lo stile non cambia non adattandosi al nuovo interprete. Sembra una parafrasi del primo monologo, ci sono pochi nuovi spunti e così invece di condannare l’aggressività di Luca, lo spettatore rimpiange la sua originalità nonché la recitazione di Luca Lazzareschi.

Alla fine quando le due anime irate placano la loro rabbia per indossare silenziosamente una corona decorata con vistosi pennacchi, viene da pensare al significato generale che si può trarre. Non viene in mente niente; rimane solo la sensazione di aver assistito alla narcisistica esibizione di un autore innamorato del suo (indubitabilmente) originale modo di scrivere. Ed è inevitabile immaginare di togliere quei pennacchi dal capo dei due attori e di deporli sulla genial capoccia di Pascal Rambert.

[ERT EmiliaRomagnaTeatro->www.emiliaromagnateatro.com]
durata 2 ore
di Pascal Rambert
_ con Luca Lazzareschi, Anna Della Rosa