“IN FONDO AGLI OCCHI” DELLA COMPAGNIA BERARDI CASOLARI

Misera Italia

La prima cosa che colpisce è la scenografia che ti aspetta lì, a sipario aperto, prima ancora di cominciare.
Misera, brutta, decadente: come certi bar di provincia con il bancone in formica azzurra, e le cartoline dei clienti abituali che si sono regalati le palme delle Hawaii. Arriveranno poi anche i neon con la scritta tricolore mezza rotta: siamo al Bar Italia.

Sembra dare una chiave di lettura a tutto il resto, questo senso di miseria. Perché è lì che, mi pare, voglia arrivare In fondo agli occhi, della compagnia Berardi Casolari: a sbugiardare la miseria. La miseria umana e le mille declinazioni che si porta dietro: inutile far finta che tutto vada bene, no? E dillo, una buona volta, così almeno ti liberi, invece di rimanere immerso nell’ipocrisia – è il monito di Tiresia, il cieco indovino che sapeva vedere la verità. Tiresia è cieco per mitologia, ma questo Tiresia qui, Gianfranco Berardi, è cieco per davvero. “Cieco di merda”, si grida da sé, e invita a farsi urlare dal pubblico, in una sorta di catarsi collettiva. Non è facile far partire il coro, ma il volume del Filarmonico di Piove di Sacco, prima timido, monta.

“Un cieco non lo freghi, perché la verità sta dietro, nascosta alla visione”: e allora che effetto fa se il cieco che è sul palco scende in platea, ti si piazza davanti, e ti chiede di te, delle tue miserie? E che effetto fa sentirlo gioire della sua cecità, che gli fa da scudo verso ben altre miserie? E che effetto fa in questo momento storico, in cui ognuno probabilmente ha una lamentela plausibile da fare e una palma con amaca nel cuore, sentire pronunciare da lui “Te ne vuoi andare? Ma dove vuoi andare se sai che la malattia è in fondo agli occhi tuoi e non nelle cose che ti circondano?”.

Forse, un effetto anestetico. Come una sospensione. Perché Berardi e Casolari ce l’hanno con i mangiatori di entusiasmo, con quelli che si lamentano senza darsi da fare, spiegheranno a spettacolo terminato mentre sponsorizzano i gadget della compagnia. E allora, in mano a loro, si rimane sospesi, con la rabbia delegata a qualcun altro. A dare corpo a questa anestesia ci pensa il personaggio femminile, interpretato da Gabriella Casolari. Che – se Tiresia è vanesio, strabordante, spaccone, aereo e idealista nella sua lotta all’ipocrisia, tranne quando in ballo c’è da fare una mano morta o da pensare al futuro del figlio: mettitela via, farai il calciatore – risulta terrena, corporea, svampita un po’, ma ontologicamente attaccata alle miserie di cui si fa simbolo. È la cornuta e mazziata, lasciata dal marito ricco che è scappato con la rumena. Stereotipo, più che simbolo; e non a caso si chiama Italia, come il suo bar. Italia fa i sacrifici per lui, Tiresia, per la sua visione illuminata e distante anni luce da lei, e non ce la fa più. Non lo sopporta, ma al tempo stesso la sua lotta ormai è debole, le mancano le forze, l’entusiasmo, e perciò continua a ritrovarcisi impantanata. Italia, appunto.

Probabilmente è voluto lo squilibrio tra lui e lei. Lui che pompa sangue nelle vene, lei che osserva, stanca. Però la sensazione è che, attorialmente parlando, la scena penda troppo da un lato, come il piatto di una bilancia troppo pieno. La regia di quel maestro di meraviglie che è César Brie cerca proprio gli equilibri e riveste di eleganza, lavorando su oggetti e movimenti: il pianto dell’amarezza e della paura sono chicchi grossi di sale che scendono dalle mani del compagno; i dialoghi sono scanditi a sillabe dalla sincronia dei passi avanti e indietro (contati, come nella danza); lo sconforto della donna diventa borotalco da spalmare sul deretano di quel vate moccioso; la pietas – sì, ma insofferente – di questa Italia diventa un melone che lei imbocca a Tiresia con distrazione, poi con fretta, quasi ingozzandolo, controvoglia e arrabbiata.

Cosa rimane, alla fine, In fondo agli occhi? La paura, l’illusione, e il coraggio insieme.”Tutto il pietismo e la retorica falsa mi sembrano un pretesto nei confronti di chi sta male. Io voglio fare una rivolta e comincio qui, ora, da me”.

http://www.berardicasolari.it/
foto di Tommaso Le Pera