INTERVISTA ESCLUSIVA CON KUROSAWA KIYOSHI

Imageries of Death in Japanese Cinema

In seguito alla sua partecipazione all’iniziativa di Ca’ Foscari Cinema, intitolata Imageries of Death in Japanese Cinema, Kurosawa Kiyoshi si è reso disponibile a NonSoloCinema.com per delle domande.

Ci sembra che il suo cinema ruoti attorno ad una personale rivisitazione del perturbante freudiano, ovvero quando le cose familiari, tra cui anche il quotidiano, ad un certo punto mostrano un volto sconosciuto, rivelano aspetti inediti, destabilizzanti.
Concorda con ciò? Ci può dire qualcosa in merito?

Sono molto contento che mi venga posta una domanda di così alto livello. Purtroppo devo dirle che non ho mai studiato a fondo Freud, ho giusto un’infarinatura di base inerente ai suoi trattati di psicologia, ma non l’ho mai affrontato direttamente. Per quanto riguarda la natura destabilizzante dei miei film posso dire di non averla mai concepita sotto questa prospettiva.
A prescindere dalla mia mancata relazione con questo concetto freudiano, confermo che nei miei film i personaggi si trovano a sperimentare dei forti cambiamenti a livello inconscio.
Può capitare molto spesso che all’improvviso un personaggio cambi completamente lo sguardo, il comportamento, il modo di relazionarsi, e questo avviene in maniera quasi naturale perché l’attore stesso pare non rendersi conto del suo mutamento, quindi non le saprei dire se questo ha una qualche relazione con il perturbante freudiano, ma le assicuro che accade di frequente nei miei film.

Da dove è nato l’impulso per realizzare Tokyo Sonata?

La motivazione è piuttosto semplice, dopo una serie numerosa di film horror volevo girare qualcosa che non avesse niente a che fare con questo genere. L’opportunità è giunta dal coproduttore che mi ha parlato di questa vicenda relativa ad una famiglia composta da quattro persone. La sceneggiatura non è mia, aspettava solo d’essere trasposta in film.

In Tokyo Sonata viene mostrata una lacerazione fra due generazioni, a tratti irrecuperabile, seguita poi da una riappacificazione che non sembra tale a tutti gli effetti.
Ci può dire come intende questa lontananza fra padri e figli nelle famiglia contemporanea giapponese?

Già prima di Tokyo Sonata mi era venuta voglia di girare un film sulla famiglia, non perché mi interessi particolarmente il tema ma per un concetto che ora le spiego.
All’interno di un nucleo famigliare vi sono persone di età diverse, che perseguono fini diversi, che probabilmente hanno anche dei stili di vita diversi; se mi soffermo a pensare a questo mi sembra quasi impossibile che tale diversità possa convivere in uno stesso luogo come capita appunto in famiglia. Per me quindi la famiglia è questa strana unione di persone che difficilmente potrebbero vivere assieme.
Questo concetto lo posso approfondire attraverso la relazione che intercorre tra il personaggio del padre e quello del figlio. In realtà, tra di loro non c’è una vera e propria riappacificazione ma nemmeno un vero e proprio conflitto. Quindi le due generazioni non potranno mai comprendersi ma nemmeno separarsi; è attraverso l’ottica della ciclicità, fra conflitto e riappacificazione, che io vedo il nucleo famigliare e dunque il punto di contatto fra le generazioni.

Ci dica i primi tre nomi di registi da lei preferiti che le vengono in mente?

Le dico tre nomi molto differenti per via di stili. Per il Giappone sicuramente Ozu Yasujiro, per l’America Sam Peckinpah mentre per l’Italia Roberto Rossellini.