“John Gabriel Borkman” di Ibsen al Teatro Grassi di Milano

Un John Gabriel Borkman un po' sbrigativo

Un testo come John Gabriel Borkman si presta – coi suoi capitalisti bancarottieri – a fin troppo facili, e fuorvianti, allusioni al presente ed è aperto – con i suoi contrasti tra vita e morte, tra presente, passato e futuro, tra amore e “ragioni di ordine superiore” – a ben più profondi risvolti simbolici e filosofici. Qui – sottoposto a diversi tagli e, verrebbe da dire, trattato con una certa sbrigatività (in un’ora e mezza è tutto finito) – resta soprattutto un dramma famigliare e diventa più che altro un pretesto per gli accesi conflitti drammatici tra le due protagoniste (Lucrezia Lante Della Rovere e Manuela Mandracchia) e per l’interpretazione di Massimo Popolizio, che, dando al suo personaggio alcuni accenti caricaturali, strappa al pubblico qualche risata che ci è parsa incongrua.

A proposito del carattere dato a Gunhild ed Ella, si può ricordare che nel John Gabriel Borkman di Ronconi per la Tv (1982), le due sorelle, come lo stesso Borkman, apparivano come decolorate: non solo i loro capelli, ma anche la loro pelle era grigia e i pesanti abiti scuri in cui erano avvolte sembravano assorbirle e annullarle nelle opprimenti pareti, ugualmente scure. Gli altri personaggi, a cominciare dal figlio Erhart e dalla signora Wilton (coi suoi capelli rossi) erano più colorati e luminosi. In linea con l’intenzione – dichiarata nella presentazione dello spettacolo – di rendere le due sorelle “ancora vitali e violente”, c’è almeno un momento dell’allestimento diretto da Piero Maccarinelli che, volutamente o no, sembra quasi porsi come esplicito ribaltamento della scelta cromatica di Ronconi: quando Gunhild chiede alla signora Wilton se sia saggio portare con sé e con Erhart la giovane Frida, è lei, sul proscenio, ad apparire vitale e luminosa, mentre, sullo sfondo, la signora Wilton – coperta da un lungo cappottone nero e con un cappello nero che rivela un volto pallido – appare figura lugubre, glaciale e priva di passione.

A proposito delle risate, è vero che, nel dialogo con Foldal, Borkman dice che la sua “tremenda tragedia”, “a considerarla da un altro punto di vista, è anche un po’ una commedia”, ed è anche vero che, riferendosi ad altre messe in scena delle opere del drammaturgo norvegese (Rosmerholm ed Hedda Gabler di Massimo Castri), c’è chi ha parlato di “segreta ‘comicità’ della scrittura ibseniana” (R. Alonge, Ibsen. L’opera e la fortuna scenica, 1995, p. 126), ma, in questo caso, le risate – come quelle che accompagnano l’entrata in scena (quasi da pochade) della signora Wilton nel momento in cui Erhart rivela l’intenzione di andar via con lei – vengono sollecitate sfruttando gli elementi più superficiali del testo.

John Gabriel Borkman di Henrik Ibsen (traduzione Claudio Magris)
Produzione Artisti Riuniti in collaborazione con Teatro Eliseo.
Adattamento e regia Piero Maccarinelli.
Con Massimo Popolizio (John Gabriel Borkman), Lucrezia Lante della Rovere (Gunhild), Manuela Mandracchia (Ella), Mauro Avogadro (Foldal), Alex Cendron, Ilaria Genatiempo, Camilla Diana.
Scene da un’idea di Carlo De Marino. Costumi: Gianluca Sbicca. Luci: Umile Vainieri. Musiche: Antonio Di Pofi.
dal 7 al 18 novembre 2012 al Teatro Grassi di Milano