Stefano Accorsi non è un attore poliedrico. I ruoli in cui può dare il suo meglio sono pochi, e tendenzialmente hanno tutti a che fare con la sfera della nevrastenia. Comunque al cinema, pur continuando a perseguire quella recitazione “sospirata” che dimentica l’esistenza del diaframma, fa la sua figura perché anche l’occhio vuole la sua parte, e non si può negare che abbia raggiunto nel corso degli anni una notevole popolarità per essere riuscito ad interpretare il “personaggio giusto al momento giusto”.
-Per il Nuovo Teatro e il Teatro Stabile dell’Umbria, deve essere quindi sembrata una scelta scontata quella di produrre una pièce con Accorsi come protagonista. È un errore che in Italia ormai si continua a commettere e che, purtroppo, spesso “paga” in termini meramente economici: il volto noto del grande schermo attira a teatro anche quel pubblico che di solito lo diserta. Ma la qualità “maiuscola” è un’altra cosa.
È stato lo stesso Stefano Accorsi a voler lavorare sul testo dell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, e a scegliere Marco Baliani come regista. Al secondo anno di tournèe, dobbiamo purtroppo ammettere che l’esperimento del “Furioso Orlando” non convince.
-L’idea di partenza non è malvagia. Raccontare in rime dal sapore ariostesco la storia degli amori dell’Orlando Furioso e, attraverso i personaggi, riflettere sulla condizione maschile e femminile nei rapporti amorosi. Il narratore-Accorsi, fiero di rendere il pubblico partecipe di storie di grandi eroi, difende senza indugio ogni errore e perdona ogni scappatella, e si perde spesso in digressioni che chiamano in causa Dante e, soprattutto, Shakespeare regalando qualche momento umoristico.
-La sua compagna di scena, incarnerà lo spirito femminile puro, pronto a pungolare il padrone di casa sul ruolo che sempre la donna si trova costretta a vivere: sposa fedele alla quale non è concesso tradire, vittima da immolare e oggetto di puro piacere dell’uomo.
-Così riusciamo a vedere Orlando sotto una luce diversa. Non più l’eroe senza macchia né paura talmente innamorato di Angelica che impazzirà per il dolore quando lei gli preferirà il saraceno Medoro, ma un uomo prepotente e presuntuoso, incapace di accettare la sconfitta e la preferenza della sua amata ad un semplice fante. Un po’ quello che vivono tante donne di oggi e che, spesso, sfocia nella vendetta e nel femminicidio.
-La scenografia ricorda una scatola di legno, e contiene tutta una serie di oggetti che l’interprete femminile utilizzerà per colorare la storia di suoni e rumori.
-Che cosa accade, dunque, tra il progetto di partenza così ben pensato, e la resa alla platea che non raggiunge un voto di sufficienza? Innanzitutto la scelta di proporlo in qualunque tipo di spazio teatrale. Per come sono pensate sia la scena che la regia, e per l’assoluta mancanza di microfoni (che normalmente è un punto a favore), i grandi teatri non sono adatti. Un palco esteso (anche se ridimensionato dallo spostamento di quinte e fondali, come quello del Teatro Carlo Gesualdo di Avellino) disorienta l’attore narrante che riesce in una buona espressione solo quando si ferma in un punto preciso. Nelle camminate e nei balzi laterali il lavoro sul corpo è completamente assente, e la mancata concentrazione sfocia in una recitazione inizialmente molto mediocre, che ha bisogno di carburare per venire fuori da una scolastica ripetizione di filastrocche.
-Problemi di questo genere li può risolvere, altrimenti, un attore teatrale completo e di gran livello, e non è il caso di Stefano Accorsi che al teatro ci è approdato (lo salviamo comunque, nel monologo della pazzia cieca di Orlando).
-Ma il colpo di grazia, è dato da “lei”, scelta nella persona di Nina Savary. Figlia d’arte, conferma la regola, raramente eccepita, che non è la genetica a fare un artista tale. La recitazione di Nina non è carente solo per il marcato accento francese, che di per sé poteva anche risultare simpatico. La Savary ha effettivi problemi con la lingua, e dovendo ricordare le battute in rime auliche, non riesce ad essere più scorrevole di un robot. Incomprensibile in più punti, non sopperisce alle mancanze linguistiche con l’espressività, completamente assente. Ha una splendida voce quando canta, ma pochi accenni di melodia non riescono a salvare una performance disastrosa.
-L’intento a difesa della condizione della donna fallisce miseramente. Soprattutto, perde ogni genere di credibilità di paladina delle donne bistrattate appena si collega il suo cognome a quello del padre Jérôme, e si comprende lapalissianamente la corsia preferenziale con cui è stata scelta.
FURIOSO ORLANDO – Ballata in ariostesche rime per un cavalier narrante
-adattamento teatrale di Marco Baliani (liberamente tratto da l’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto)
-con: Nina Savary
-scene e costumi: Bruno Buonincontri
-disegno luci: Luca Barbati
-regia: Marco Baliani