“La cimice” di Serena Sinigallia

La Senigallia rilegge l’ultimo testo di Majakovskij

In scena con Paolo Rossi al Teatro Strehler di Milano fino al 24 maggio

Sull’attualità che si respira nel testo di Majakovskij, messo in scena al Teatro Strehler da Serena Sinigallia, il giudizio è indubbio. In esso, l’incasellabile autore russo ha suggellato l’ultima sua goccia di sudore, suggerendo uno scenario in cui critica sociale e lotta del singolo non sono separati, ma intrecciati e fusi in un’unica panoramica. D’altronde, lo stesso Majakovskij definisce La cimice come «la variante teatrale di quell’argomento fondamentale al quale ho dedicato versi e poemi. Si tratta della lotta contro il piccolo-borghese».

Lo spettacolo si apre con la proiezione di un video che racconta gli eventi dalla rivoluzione d’ottobre; d’altronde, lungo le oltre due ore di spettacolo il video verrà utilizzato in una duplice maniera: una didascalia a piè pagina esplicativa di eventi storici per alcuni persi nei libri di storia – come la nascita della Nep o l’allontanamento forzato di Trockij –, oppure come parentesi comica e dissacrante, a commento della condizione in cui Prisypkin (interpretato da Paolo Rossi) si ritrova nella sezione finale, bestia in gabbia, osservata dai futuri comunisti del 1979 attraverso le sbarre di un gelido zoo futuristico. L’evoluzione dello spettacolo sembra mostrare, sottilmente, come una drastica involuzione ideologica sia possibile in soli pochi anni, riprendendo la riflessione di Majakovskij nel momento in cui ambienta il tanto paradossare futuro a soli cinquant’anni dal fatidico 1929 con cui si apre l’opera.

Interessante e curata la creazione delle scene, soprattutto nel contrasto tra le scelte legato al primo e al secondo atto. Infatti, nella prima parte del dramma la scenografia si accumula, passando dal mercato popolare al banchetto per il matrimonio dell’ormai ex compagno Prisypkin, e tale accumulo è tanto importante quanto rapido sarà il suo risucchio entro una fossa posto al centro del palcoscenico, durante l’incendio della casa dei boghesi. Per contrasto, nel secondo tempo domina l’assenza e lo spazio vuoto, un futuro asettico e privo di passioni, del quale il piccolo borghese intaccherà la labile sterilità, manifestandosi come un virus incapace di essere debellato.
A completare il quadro, un apparato musicale che spazia dalle musiche popolari russe (tra cui si riconosce L’internazionale), per dar voce al pastiche popolare con cui si apre lo spettacolo, e, trasversalmente, il leitmotiv originario di Sostakovic – le cui musiche furono utilizzate anche nella prima messa in scena della Cimice, realizzata da Mejercho’ld – che segue con delicatezza la tragica vicenda di Zoja, l’unico personaggio di tutto il dramma disposto ad amare, e in fondo a morire per i propri ideali.

Un lavoro stimolante e curato, carico di una forte spinta vitale. Allo spettacolo, tuttavia, sembra mancare lo spessore di critica politico-sociale che costituisce il cuore del lavoro di Majakovskij, ridotto ad un semplice declivio inarrestabile, di cui non sono indagate le pieghe sottili entro cui si nascondono le verità del suo capolavoro ultimo

La cimice di Vladimir Majakovskij
traduzione Fausto Malcovati – regia Serena Sinigaglia – scene Maria Spazzi – costumi Federica Ponissi – musiche Sandra Zoccolan – luci Alessandro Verazzi
con (in ordine alfabetico) Francesca Ciocchetti, Francesco Colella, Pierluigi Corallo, Giovanni Crippa, Massimo De Francovich, Gianluigi Fogacci, Melania Giglio, Marco Grossi, Sergio Leone, Bruna Rossi, Paolo Rossi e con Clio Cipolletta, Gabriele Falsetta, Andrea Germani, Andrea Luini, Silvia Pernarella
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
www.piccoloteatro.org