Le porcellane di Faenza

In visione permanente le porcellane della Cina, Giappone, Sud-est asiatico al Museo Internazionale di Faenza

“Vi è in Cina un’argilla finissima con cui si fanno vasi trasparenti come il vetro : si vede l’acqua attraverso… vi si fanno le più belle iscodelle di porcellane del mondo…non ve ne se fae in altro luogo del mondo, e quindi si porta in d’ogni parte..”

Così Marco Polo ci trasmette la sua “maraviglia” per le ceramiche invetriate dell’Estremo Oriente che noi possiamo ammirare nelle sale del Museo Internazionale di Faenza esposte in permanenza da poco tempo con 400 manufatti rinvenuti in Cina, Giappone, Sud Est Asiatico.

Ci porge il benvenuto una porcellana a smalti policromi di un servitore inginocchiato che porge un acquamanile delle fornaci cinesi di Jingdezhen risalente al XVIII esc. E’ il simbolo del wellcome tipico delle dimore aristocratiche.
Al suo fianco, per irrobustire l’accoglienza, la statua di bronzo dorato e dipinto del Re Celeste Duo Wen Tianwang, la divinità dispensatrice di ricchezza (Cina sec XVIII). Via via piatti ad orio polilobato della Thailandia, statue funerarie cinesi di funzionari di alto rango (Cina sett. Sec. VII-VIII) , i cinque più famosi tipi di porcellane della dinastia Song (960 – 1279).

Le fornaci di Jingdezhen non riuscivano a soddisfare le pressanti richieste di porcellane da parte dei portoghesi e olandesi sin dal 1500. Queste richieste da parte dei predoni europei si giustificano per la bramosia dello splendore dei grandi vasi di tipo potiche dai decori augurali dei secc. XVII-XVIII. Particolarmente attrenti i manufatti policromi risalenti alle dinastie Ming e Quing simboleggianti figure e arredi a tre colori accompagnati da smaglianti riduzioni architettoniche. Attrassero gli europei le produzioni del “blanc de Chine” o bianco di Cina delle fornaci della cittadina di Dehua, un bianco attraente per la sua traslucidezza e brillantezza.

Dopo l’apertura della rotta attraverso il Capo di Buona Speranza ad opera del portoghese Bartolomea Diaz del 1487, gli europei cominciarono a trafficare anche con i pirati giapponesi dei forni di Seto, grazie a un ceramista nipponico di Yamashiro che per sei anni soggiornò in Cina. Pur di imitazione cinese, i prodotti giapponesi fornirono all’Europa nuove ispirazioni arricchite dalle ceramiche a gres del Vietnam e Thailandia come le raffigurazioni dei vari Buddha in legno dorato, di piatti e teiere, di vasi delle pompose composizioni floreali a smalti in rosso-oro.

Le fornaci di Shida e Arita concludono la rassegna con i loro decori augurali bianchi e blu, alimentati dai voli delle gru sulle onde dell’oceano e sui paesaggi innevati o dai leoni simboleggiati o dai fiori di peonia.
Si segnala la scoperta di due eccezionali esempi delle porcellane ottocentesche Bencharong e Lai Nam Thong per l’uso esclusivo della Corte del Re del Siam, oggi Thailandia, splendidamente decorate a smalti policromi con scene di ispirazione buddhista.
La scelta e lo studio delle opere esposte è stato coordinato dal dott. Roberto Ciarla che si è avvalsa della collaborazione della dr Fiorella Rispoli e di Chiara Molinari.

La Fondazione del Monte e della Cassa di risparmio di Faenza, la Banca di Romagna Provincia di Ravenna e la Cantina dei Colli Romagnoli hanno contribuito alla realizzazione di questa nuova e originalissima sezione.