“Old Boy” di Spike Lee

Cult addio

Spike Lee si cimenta in una sceneggiatura che, con la sua vocazione ossessiva alla vendetta, farebbe più al caso di un regista come il suo disprezzato collega Quentin Tarantino. Spike Lee è da sempre considerato un regista impegnato e di culto, cosa che il soggetto di Oldboy ormai non può più essere, visto che nel 2003 il coreano Park Chan Wook ne ha tratto una versione cinematografica già considerata a tutti gli effetti un cult. In che altro modo allora può presentarsi questo remake se non come un prodotto che cerchi di allargare alle massa qualcosa di elitario tradendo così lo spirito stesso del cinema di Spike Lee?

Un uomo dalla morale decisamente deprecabile, padre di famiglia assente e alcolizzato cronico, viene inspiegabilmente rapito e imprigionato per vent’anni dentro una stanza priva di finestre, ma con una televisione. Accusato di essere l’omicida di sua moglie, ritorna in libertà senza alcuna risposta, ma con una sola ossessione: scoprire chi sia stato a imprigionarlo e soprattutto perchè l’abbia fatto.

L’opera originale di Park Chan Wook ha regalato al regista la nomea di “Quentin Tarantino d’Oriente”. Niente di più lontano allora dal cinema di Spike Lee, lui che aveva profondamente criticato l’ultimo film di Tarantino dando luogo soltanto all’ultima di una serie infinita di polemiche tra i due registi che esprimono da sempre due stili cinematografici profondamente differenti, derivati da due modi opposti di usare il cinema stesso e, forse ancora più profondamente, di guardare la vita. Spike Lee è da sempre un regista di film cult, pluripremiato eppure schivo ai riconoscimenti, costantemente impegnato per i diritti civili degli afroamericani: allora perchè questo film? Perchè un film che non potrà mai essere un cult, ma una sua negazione, dato che si tratta di un remake? Perchè proprio questo soggetto, tratto da un manga totalmente alienato dalla realtà sociale a lui tanto cara?
La risposta più nobile è quella che viene fornita da lui stesso ed è la sua dichiarata passione per il film di Chan Wook: “Mi ha spiazzato. La gente non aveva mai assistito a qualcosa di simile e neanche io.”

Oltre a questa grande attrazione, a spingerlo nell’impresa di questo remake è stato il fascino che da tempo ormai esercitano su di lui la mente umana e il thrilling psicologico di fronte a cui essa può trovarsi in situazioni estreme: a testimonianza ci sono due film su tutti che hanno bisogno di poche presentazioni, Inside Man e La 25° Ora. È in questo modo che Spike Lee riesce a far sua questa sceneggiatura e ad imprimergli una regia che vale assolutamente la pena di un remake: la prigionia del protagonista si fa mentale oltre che fisica grazie a un montaggio e una fotografia sconvolgenti capaci di risaltare i dettagli più inutili di una stanza di prigionia nella quale ognuno di essi diventa essenziale quotidianità, così da trasmettere allo spettatore la sua stessa angoscia, il suo stesso nervosismo, la sua stessa rassegnazione.

La crudezza della regia non sfocia mai in niente di pop o tantomeno di pulp, sfugge alla forma fumetto richiamandola paradossalmente soltanto nel momento in cui il protagonista ritorna al mondo libero, un breve attimo di colore eccessivo prima di tornare alla brutalità realistica tipica di Spike Lee. È questo forse il tocco più originale che il regista ha donato al suo Oldboy ed è proprio questo che gli ha permesso di esplorare tutta la violenza subita dal protagonista facendo della vendetta una conseguenza naturale degli eventi: “Non ho mai pensato ad Oldboy come un remake – spiega Spike Lee – l’ho visto più come una interpretazione di una grande storia che può essere rappresentata in tanti modi diversi.”

Ecco allora dove Spike Lee si allontana irrimediabilmente da Quentin Tarantino realizzando un thriller in cui la violenza fisica si rende inscindibile rispetto a quella psicologica e prosegue idealmente il suo percorso magistrale di ricerca sulla mente umana e sulle sue reazioni di fronte alle situazioni più estreme della realtà. È per questo che Oldboy può sembrare tutt’altro che la trasposizione cinematografica di un fumetto: dopo l’Edward Norton costretto a vivere le ultime ore di libertà prima del carcere ne La 25° Ora) e dopo il complesso di intrighi psicologici nel quale Clive Owen costringe Denzel Washington in Inside Man), c’è un Josh Brolin che in Oldboy costringe se stesso a trovare una risposta psicologica alla violenza subita, prima ancora di dedicarsi alla propria vendetta.

Con questo suo ultimo lavoro Spike Lee continua a mantenere fiero le proprie distanze da quel disprezzato Quentin Tarantino. Sembra addirittura quasi lanciargli un guanto di sfida esercitandosi su una sceneggiatura che potrebbe appartenergli di diritto e in questo modo costringe noi spettatori a una conclusione decisiva: se Tarantino prendesse in mano questa sceneggiatura, ne farebbe tutt’altro film, tanto che forse sarebbe ormai troppo tardi per intitolarlo ancora una volta Oldboy.

Titolo originale: Oldboy
Nazione: U.S.A.
Anno: 2013
Genere: Drammatico
Durata: 104′
Regia: Spike Lee

Sito italiano: www.oldboy-ilfilm.it
Social network: facebook, twitter
Cast: Josh Brolin, Samuel L. Jackson, Elisabeth Olsen, Sharlto Copley, Michael Imperioli, Grey Damon, Rami Malek, Lance Reddick, James Ransone
Produzione: 40 Acres & A Mule Filmworks, Good Universe, Vertigo Entertainment
Distribuzione: Universal Pictures Italia
Data di uscita: 05 Dicembre 2013 (cinema)